mercoledì 28 febbraio 2018

Luigi Natoli: La prigione del Pozzetto. Da: Cagliostro e le sue avventure.


La prigione detta del Pozzetto era la peggiore di tutti: si trovava nella torricella del mastio, a occidente; alta dal suolo circa sessantaquattro braccia, illuminata da un finestrino con triplice inferriata, aperto a meno di tre palmi dal pavimento nudo e limaccioso, nella parete spessa otto palmi. Angusta, umida, semioscura; non aveva porta: vi si entrava dall’alto, per una botola che si apriva esternamente, donde, occorrendo, si calava una scala. Il prigioniero vi era stato calato con una corda; forse per questo, la prigione aveva nome Pozzetto: nessuna fibra, per forte che fosse, avrebbe potuto durare a lungo in quella sepoltura, che la pietà religiosa del sant’uffizio e del papa dava ai prigionieri. Non v’era che un mucchio di paglia per giaciglio, gittata in un angolo, sotto un grosso anello di ferro infisso nella parete per incatenarvi il prigioniero.



Luigi Natoli: Cagliostro e le sue avventure. Ricostruito nell'unica versione originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1914. 
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online. 
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 

Luigi Natoli: le innovazioni di Cagliostro alla massoneria. Da: Cagliostro e le sue avventure.


Le logge seguivano tutta la stretta osservanza, ed eran sotto la protezione della Corte: sicchè era vano ogni tentativo di modificarle secondo quelle idee, che con la lettura dell’opuscolo di Giorgio Cafton, s’erano venute formando nella mia mente. 
Qualche visita che vi feci mi confermò nella mia idea, che cioè l’illuminismo, che era la dottrina di queste logge, conduceva a una specie di ateismo sterile. Ma dove io concepii la necessità di una riforma, fu a Lipsia, dove udii dalla stessa bocca di Scieffort, la sua dottrina. Essa era un impasto curioso della dottrina del primo fondatore Giovanni Boheme – la quale ammetteva che l’uomo riceveva direttamente da Dio un lume speciale, per cui poteva da sé raggiungere la perfezione – di riti massonici, e dell’ordine fondato da Adamo Weisshaupt, qualche anno prima, che mescolando fra loro la dottrina dell’illuminismo e i riti massonici ne aveva cavato fuori una setta più politica che altro; e che pretendeva poter generare il bene dalle stesse cause che generavano il male. 
Tuttavia io vi riscontravo qualche cosa che poteva servire ai miei scopi. 
Io facevo come l’ape. Andavo suggendo qua e là ciò che mi poteva servire. Dal conte di Saint-Germain, come da Scieffort; da Swedemborg – e da costui presi anzi molto – come da Cofton; dagli alchimisti di cui studiavo i segreti, come dai libri di mastro Altotas; dalle mie conoscenze di medicina come da quelle cognizioni superficiali di storia e della Scrittura; da quella mia forza occulta, come dalle pratiche magiche di cui conoscevo i procedimenti. 
Tutto ciò doveva servirmi nella esecuzione del disegno che già s’era fermato nella mia mente. 
Una voce interna mi chiamava a compiere grandi cose; l’avvenire si schiudeva dinanzi a me; io mi lanciai animosamente nel nuovo cammino, con la sicurezza della vittoria. 
“Tutto ciò che voi credete maraviglioso, e che sia frutto della vostra scienza, è vecchio; io lo appresi in un tempo del quale ho perduto la memoria. Voi tramutate i metalli? Ed io li tramuto da un pezzo; voi credete di possedere la pietra filosofale, ma vi ingannate: nessuno di voi conosce la formula segreta del divino Ermete Trimegisto incise sopra una colonna del tempio; perché nessuno di voi ha passato lunghi anni nella penitenza e nel colloquio con Dio e coi sette Angeli, come li ho passati io tra le rovine di Menfi o dentro le Piramidi misteriose, dove nessun mortale è mai entrato: voi credete di essere immortali, ebbene io dico a voi che non passerà un mese che Scieffort, colpito dall’ira divina, morrà.”

“La mia dottrina, che è la vera, ha uno scopo: la rigenerazione dell’uomo; mira ad aumentare la potenza e la dignità della sua anima; a insegnar loro, che per quanto grandi siano le cose maravigliose che egli può vedere, siano anche i sette angeli che stanno al cospetto di Dio, egli non deve adorarli, ma considerarli per uguali; che nel mondo degli spiriti o egli non deve penetrare, o se vi penetra, deve parlare da maestro e dominatore non già implorante o avvilirsi; poiché egli è stato creato a immagine di Dio, che gli ha dato il diritto di comandare e dominare la natura. Per giungere a questo non sono necessarie le vostre cerimonie; le vostre formule magiche; ma un cuor puro, un animo forte, amare, far del bene e aspettare!”


Luigi Natoli: Cagliostro e le sue avventure. Ricostruito nell'unica versione originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1914. 
Pagine 884 - Prezzo di copertina € 25,00
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online. 
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 

Luigi Natoli: il giuramento di Cagliostro nella loggia massonica. Da: Cagliostro e le sue avventure.


Mi legò una benda sugli occhi, così fortemente, che non era possibile veder nulla; e presomi per mano, mi tirò dietro di sé.
Udii tre colpi picchiati a una porta, e alla diversa temperatura capii che entravamo in un’altra sala. 
- Fermatevi qui. 
Passò un istante di silenzio. Una voce diversa, che veniva dal fondo, mi rivolse le domande di rito: 
- Profano, voi avete osato penetrare nel nostro tempio. Chi siete?
Ripetei per la terza volta il mio nome. 
- Che cosa cercate?
- La luce. 
Non vi ripeterò il dialogo che ne seguì, perché sarebbe ozioso: mi si domandò se credevo in Dio, nell’immortalità dell’anima e via via dicendo; e in seguito mi si fecero compiere i viaggi attraverso l’aria e il fuoco. Io sapevo già che questi viaggi erano simbolici; non provai dunque, nel sentirmi lanciare nello spazio, e accaldare il viso, alcuna commozione di spavento: ma alla terza prova, alla quale fui sottoposto, non potei padroneggiare un gesto di ripugnanza. 
Colui che mi accompagnava, mi pose nelle mani una pistola: 
- Quest’arme, – disse, – è carica. Appoggiatela al vostro capo e sparate. 
Come vi ho detto provai un istante di ripugnanza: ma subito pensai giustamente che se la pistola si caricasse veramente, a palla, le logge si potrebbero chiudere per mancanza di socii. Così non esitai a tirare il grilletto. Sentii lo scoppio, e un colpo alla testa, ma naturalmente non morii, né riportai alcuna ferita. Era evidente che il colpo era sparato da altri, e che la percossa era simulata. 
Allora fui fatto inginocchiare, e pronunciai il seguente giuramento: 
“Io Giuseppe Cagliostro alla presenza del grande Architetto dell’Universo e a quella dei miei superiori come pure della rispettabile società in cui mi trovo, mi obbligo di fare tutto quello che mi verrà ordinato dai miei superiori; e perciò mi obbligo sotto le pene stabilite da loro di obbedirli ciecamente, senza ricercarne il perché, e di non rivelare né in voce, né in iscritto, né con gesti il segreto di tutti gli arcani che mi saranno comunicati”. 
Sbendato, mi trovai in una grande sala così sfarzosamente illuminata, che per poco non ne fui accecato; e non fui poco stupito dal vedere che tra i liberi Muratori vi era anche l’amico O’Reilly e v’era Ricciarelli, che era stato ricevuto qualche ora prima di me. 
La cerimonia non terminò col giuramento. Condotto dinanzi al trono del Venerabile, egli, ponendomi la spada sul capo mi diede il battesimo massonico, mi abbracciò e mi baciò, e presentatomi come un fratello, mi fece condurre in giro perché avessi il bacio fraterno. 
Ebbi anche due paia di guanti, uno da uomo, come simbolo che dovessi serbare la purità delle mani, e non macchiarle mai del sangue dei miei fratelli liberi muratori, e uno da donna, da regalare alla donna amata. 
Io li portai a Lorenza. 
Il primo grado massonico è di apprendista; vengono poi quelli di compagno e di maestro. Questo grado è quello del perfetto massone; e non vi si arriva, se non dopo un tirocinio più o meno lungo, e dopo aver dato prova di rettitudine e di segretezza. 
Ma questo tirocinio per me si ridusse a una settimana; alla nuova riunione, io passai a compagno e a maestro, e n’ebbi la patente, il 2 giugno del 1777, firmata dal segretario della loggia Giacomo Helsteim.


Luigi Natoli: Cagliostro e le sue avventure. Nell'unica versione originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1914. 
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online. 
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Luigi Natoli: La società dei Liberi Muratori. Da: Cagliostro e le sue avventure.


Questa società non mi era ignota; nel primo soggiorno in Londra e in Parigi ne avevo sentito parlare; avevo sentito dire che eran tutta una cosa con la setta degli Illuminati, e durante i miei viaggi avevo approfondito queste conoscenze, leggendo qualche opera intorno alle dottrine di Swedenborg che ne fu il predicatore.
Più tardi mi venne fra le mani un libro: le costituzioni della massone­ria, stampato a Londra nel 1723 da William Hunteer, che mi invogliarono a conoscere più intimamente questa società misteriosa, della quale nessuno sapeva i veri fini; ma che a me appariva come la depositaria di qualche verità, non a tutti rivelabile.
La storia che se ne faceva era veramente maravigliosa. 
Risaliva ai tempi di Salomone e alla fabbrica del Tempio di Gerusalemme. Da allora at­traverso il corso dei secoli, ricercata dai cristiani, la verità massonica si era trasmessa intatta, come un sacro deposito fra gli iniziati. Nel Medio Evo essa aveva avuto il suo splendore coi Cavalieri della Tavola Rotonda, con le corporazioni dei fabbricatori delle cat­tedrali, coi cavalieri Templari.
Per tempi e società diverse dunque si era potuta conservare intatta una ve­rità, così alta e divina, che non si poteva accedere senza una lunga iniziazione (20).
Io mi domandavo se per avventura non avessi trovato in essa la spiegazione di quanto ancora in certi fenomeni di divinazioni o d’altro mi accadeva. 
La loggia Speranza era al nume­ro 369 della Royale Taverne. O’ Reilly mi lasciò sull’uscio, dopo avermi date alcune indicazioni, e sparve.
Io picchiai a una porta, che si dischiuse. 
V’era dentro un così fitto buio, che non si vedeva nulla; ma udii na voce domandarmi chi fossi. Diedi il mio nome; e allora di fra le tenebre una mano mi prese per braccio e mi atti­rò; e la porta si richiuse senza far rumore.
Io non vedevo nulla; mi trovavo certamente in una stanza, ma non potevo dire dove fossero le pareti; tutto era nero intorno a me, sopra di me, sotto di me: un nero spaventevole e senza confini; del quale accresceva l’orrore un piccolo e fioco lumicino posato sopra qualche cosa, che a poco a poco riconobbi per un tavolino.
Dovetti stentare un poco, prima di potermi abituare a quell’oscurità; ma poi cominciai a scorgere qualche cosa, tra il nero delle pareti: dei teschi e del­le tibie; e indi m’apparve sulla tavola, come se qualcuno ve lo avesse deposto allora allora un vero teschio, con le occhiaie vuote e il sogghigno beffardo.
Quella vista, quel nero, il silenzio e la solitudine mettevano un senso di raccapriccio. L’aspettazione diventava lunga, io provavo del fastidio, e cercavo di svagarmi pensando ad altre cose, e guardandomi intorno, quando, nel voltarmi vidi corruscare dietro di me qualche cosa che poteva essere una lama....


Luigi Natoli: Cagliostro e le sue avventure. Ricostruito nell'unica versione originale pubblicata in appendice al Giornale di Sicilia nel 1914. 
Pagine 884 - Prezzo di copertina € 25,00
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online. 
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giovedì 15 febbraio 2018

Luigi Natoli: la tragica fine di Paolo Pollastra. Tratto da: Giovan Luca Squarcialupo.


Qualche giorno dopo, la quiete succedeva alla tempesta, almeno in apparenza: Paolo Pollastra e più di cento popolani furono arrestati, non ostante che si domandasse il perdono per tutti. Il viceré, che non aveva saputo o voluto impedire il tumulto e le stragi, ora, a cose quiete volle sfogare le sue vendette; e Paolo Pollastra e trenta popolani furono condannati a morte. Quello, come nobile, doveva esser decapitato, gli altri impiccati.
Lo spettacolo di una così grande giustizia era così nuovo, che la piazza Marina era stipata di curiosi. Il Sant’Offizio aveva offerto supplizi di dieci e più persone in una volta: ma trenta impiccati in uno stesso spettacolo, non si erano mai veduti. Erano state drizzate di qua e di là dal palco per la decollazione, sei forche, con cinque nodi scorsoio per ciascuna.
La folla dunque, era immensa, nella piazza, allora più vasta e con pochi irregolari gruppi di case. Dame e cavalieri a cavallo vi erano intervenuti, e avevano occupato il posto migliore; molti stavano alle finestre dello Steri, il magnifico palazzo chiaramontano, che i Viceré avevano scelto per loro dimora; e vi stava anche il viceré coi giudici della magna Curia.
Come tutti gli altri anche Tristano andò al macabro spettacolo: e se ne stava in un posto donde poteva ammirare le belle dame di Palermo. Accanto a lui si trovava Gian Luca Squarcialupo, che aveva per Tristano la simpatia e la benevolenza di un fratello maggiore. Se Tristano, come un puledro che sente i primi fremiti e con le froge aperte annusa nell'aria l'odore della giumenta, ammirava e aspirava il profumo della bellezza muliebre, Gian Luca guardava torbido lo spettacolo orrendo dei corpi che pendevano dalle travi, ancor guizzanti negli spasmi dell'agonia, dalle travi infami. Paolo Pollastra fu decapitato per ultimo.
- Ecco – diceva – come finiscono questi tumulti senza un piano, senza una meta! E quel disgraziato di Paolo Pollastra che ha creduto davvero di diventare il padrone di Palermo, perché tutta la marmaglia lo ha seguito e lo ha acclamato!… Ora, sconta la sua superbia… Credete quello che vi dico io, Tristano: non si fanno sommosse, senza un piano, senza un pensiero, senza un uomo di conto e autorevole che sappia quel che vuole. E bisognerebbe persuadere gli amici artigiani e i borghesi che non insorgano se non quando la nobiltà scende in campo… Che questa nobiltà si muove solo per difendere i propri interessi, non quelli del popolo…


Luigi Natoli: Squarcialupo. Nella versione originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia dal 02 febbraio 1924 ed edito per la prima volta in libro a cura de I Buoni Cugini editori. 
Pagine 684 - Prezzo di copertina € 24,00
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online. 
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
Scontistica riservata per librerie e biblioteche. 

Luigi Natoli: la rivolta di Paolo Pollastra. Tratto da: Squarcialupo


Tristano ritornava a casa, quando dall'alto della piazza di Ballarò veniva una fiumana di gente armata, in mezzo alla quale, un cavaliere a cavallo, agitava la spada sguainata. La folla urlava grida di morte:
- Ammazza gli spagnuoli! Ammazzali! 
Il balenìo delle armi accompagnava ferocemente le parole; e tutto intorno pareva scosso e sollevato dall'odio, come i marosi dal vento.
Tristano si fermò, guardando con stupore e non senza pena. Per quanto gli spagnuoli fossero stranieri, e non si fossero mai cattivato l'amore dei siciliani, per la loro albagia, e i loro arbitrii, e per quanto i soldati, spinti dalla fame, avessero commesso violenze, egli ricordava di aver militato con loro e di aver fra essi buoni compagni. E prevedeva che quel furore popolare avrebbe immerso la città in un lavacro di sangue, tra scene spaventevoli di orrore. Quando la folla fu più vicina riconobbe il gentiluomo che pareva se ne fosse fatto capo.
Era il magnifico Paolo Pollastra, un cavaliere, che nel quartiere dell'Albergheria godeva di grande reputazione di bravura, e fra quella gente rissosa faceva spesso da arbitro, ubbidito e seguito.
La notizia delle prime uccisioni, era giunta subito a lui; che sceso di casa armato, salito a cavallo, a grande voce aveva raccolto a sè i popolani più maneschi: ai quali via via si erano uniti gli altri, e la fiumana ingrossata, scendeva minacciosa.
- È tempo di finirla! – gridava il signor Paolo: – fuori questi barbari! Vogliamo esser padroni in casa nostra!... Fuori gli spagnoli!
E la folla acclamava; ma oltrepassando il pensiero di messer Paolo, invece di limitarsi alla espulsione gridava che bisognava uccidere, bisognava scannarli quegli stranieri odiati. Un nuovo Vespro. A Tristano parve una esagerazione inumana. Facendosi largo si avvicinò a messer Paolo, e fermandogli il cavallo, gli disse:
- Che cosa fate, magnifico? Volete spingere la città alla rivolta?
- È tempo! – rispose il cavaliere – abbiamo tollerato troppo questi stranieri.
La folla scese nel cuore della città, invase la piazza del palazzo pretorio, gridando contro il pretore e i giurati; quand'ecco dall'altro lato, si sentì un mugghio di tempesta: e dai vicoli si vide venire degli spagnoli atterriti, qualcuno con volto insanguinato, che cercavano uno scampo, e dietro a loro torme di plebei furibondi, che li incalzavano urlando:
- Ammazzali! Ammazzali!
Allora quelli che seguivano Paolo Pollastra, eccitati dalla caccia e dal sangue, diedero addosso a quei miseri; l'improvviso scomporsi, sprigionò Tristano, che non potendo, solo com'era, opporsi a quella moltitudine insensata e feroce, si ritrasse nella vicina chiesa di Santa Maria dell'Ammiraglio, detta della Martorana. E giunse appena in tempo; perché il sagrestano, temendo che in quel tumulto potessero invadere la chiesa e saccheggiarla, ne chiudeva le porte.
Ma poco dopo ebbe vergogna, lui soldato, d'aver ceduto all'istinto della salvezza, e poiché il tumulto si era allontanato, non trova alcuna difficoltà a farsi aprire. Uscì col proposito di cercare persone più autorevoli che non lui, giovanissimo, per far cessare la inutile strage. Andando verso la Loggia, si imbattè in un giovane cavaliere che godeva buona reputazione, il signor Giovan Luca Squarcialupo.
Verso sera, Don Pietro Cadorna conte di Golisano, don Federico Patella (veramente si chiamava Abatelli) conte di Cammarata, ai quali si erano uniti il marchese di Licodia, Matteo Santapau, il conte di Geraci Simon Ventimiglia, il signor di Militello, Giovan Luca Squarcialupo, Tristano ed altri signori, a cavallo, andarono per le strade ove maggiore era il tumulto, e con le esortazioni, le minacce, le promesse: con l'autorità del nome e il prestigio di valore e di generosità che specialmente rendeva ben accetto il conte di Golisano, disarmavano gli animi. Ma vi concorrevano anche alcuni religiosi e qualche popolano; quelli con la minaccia di scomuniche, questo con le arguzie.
Niente disarma più è meglio della risata; e mastro Jacopo Piededipapera lo sapeva...


Luigi Natoli: Squarcialupo. Nella edizione originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia dal 02 febbraio 1924 e per la prima volta edita in unico volume a cura di: I Buoni Cugini editori. 
Pagine 684 - Prezzo di copertina € 24,00
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online
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Scontistica riservata per librerie e biblioteche. 


martedì 13 febbraio 2018

Luigi Natoli: Donna Aurora de Ribadeneyra.


Corrado la guardò dapprima con curiosità, poi con interesse, infine con ammirazione.
Donna Aurora aveva forse diciassette o diciotto anni; era piccola, sottile, delicata; pareva una figura di sogno, piuttosto che una donna reale; col suo volto di perla, i capelli di oro, gli occhi grandi, azzurri, di una dolcezza maravigliosa sotto l’arco delle ciglia brune e folte. La bocca, dalle labbra tumidette, aveva una curva tenera e malinconica nel tempo stesso; pareva una bocca fatta per pronunciar dolci parole e sospirar mollemente in un abbandono di tutta la persona. In quel momento, ancor pallida e trepidante, stretta al padre come un uccellino nel nido sotto le ali materne, ella aveva una grazia infantile, che la rendeva ancor più bella e affascinante.
Il sergente la guardava con uno stupore muto discoprendo sempre nuovi incanti che accrescevano sempre la sua ammirazione e gli davano uno strano turbamento.
A un tratto gli occhi della fanciulla si posarono sopra di lui, si incontrarono coi suoi, tremarono, si inumidirono, si chinarono lentamente, mentre una viva fiamma le si diffondeva per le guance; poi si levarono di nuovo, rapidamente, e si abbassarono ancor più rapidamente, e un grande pallore successe alla porpora... Più volte i loro occhi si incontrarono così, e lo stesso turbamento univa in una sensazione comune e misteriosa le loro anime.
Allora pensò alla sua umile condizione; e uno scoramento indicibile dileguò quelle tenui speranze, come un colpo di vento fa delle foglie morte sparse per terra. Donna Aurora, unica erede di quei nonni vecchi e ricchissimi, bella e gentile, doveva certo essere ambita dai primi signori del regno, e il marchese suo padre aveva certo dei grandi sogni su lei; che cosa era egli per osare, soltanto osare, di levar la mente fino a quella fanciulla? Un oscuro sergente!... Sì; certo il sangue che scorreva nelle sue vene poteva essere più illustre anche di quello di un Ribadeneyra, ma aveva egli il diritto di vantarsene? Sopra di lui pesava una fatalità, contro la quale nessuna forza sarebbe valsa. Era la fatalità di una legislazione, che per secoli condannava all'oscurità e bollava con un marchio d'infamia chi non era nato fra le sanzioni della legge. Egli non si poneva dinanzi agli occhi della mente l'ingiustizia sociale che faceva la colpa di un amplesso clandestino o criminoso sopra chi non aveva domandato o desiderato di esser posto al mondo, nè vedeva tutta la crudeltà di un pregiudizio, che immola un innocente in olocausto alla ipocrisia dell’onestà o della reputazione altrui. Egli non poneva dinanzi a sé questo problema insoluto e insolubile, perchè in quel tempo non se ne discuteva neppure; ma ne sentiva tutto il peso, chinandosi sotto di esso, sapendo di non poterglisi ribellare, nè di potersene liberare.
A un tratto un nuovo pensiero balenò nella sua mente. Non aveva egli conquistata donna Aurora col rischio della sua vita? Se egli non fosse soccorso, a quell'ora «don Diego» non avrebbe consumate le violenti nozze, non avrebbe fatta sua la fanciulla, contro ogni divieto, per solo diritto di conquista? E togliendola a quelle nozze aborrite, egli non aveva acquistato per sè quel diritto, al quale si aggiungeva anche, o si sarebbe dovuto aggiungere, il sentimento della riconoscenza? Belle idee, ma intanto donna Aurora e lui erano posti ai due estremi di una scala. Ella ricca, egli povero; ella nobile e di pure origini, egli oscuro e macchiato; ella con un bel nome sonante, egli senza alcun nome!
Intanto entrò il padre guardiano. Corrado gli diede la lettera di raccomandazione. Era dell'archivario del Tribunale della Monarchia, don Andrea Natoli. Quel tribunale, come si sa, aveva giurisdizione sopra tutti i conventi e monasteri di Sicilia; immaginiamo dunque se il padre guardiano fece buon viso alla lettera; specialmente poi quando lesse che la persona raccomandata era il signor don Corrado Maurici, sergente dei fucilieri del reggimento Sicilia...
- Ah! siete voi quel bravo, quell'eroico giovine che ha salvato l'illustrissimo signor marchese?
 
 
Luigi Natoli: Calvello il bastardo.
Pagine 880 - Prezzo di copertina € 25,00
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lunedì 12 febbraio 2018

Luigi Natoli: Ferrazzano. Pubblicità dell'epoca.

Questa è la fedele riproduzione del romanzo Ferrazzano pubblicato da Luigi Natoli in appendice al Giornale di Sicilia a partire dal 30 ottobre 1932 con lo pseudonimo di William Galt. In quest’opera lo scrittore palermitano narra di Ferrazzano, comico del ‘700 quale maschera del teatro siciliano. Di lui si sa poco. Forse è anche realmente esistito, e alcune sue storie tramandate dal popolo, Natoli le riporta nel romanzo imbrigliando ad arte il personaggio fra realtà e fantasia...
 
 
 
“Egli era l’anima di tutti, ne interpretava ciò che aveva di più caratteristico, lo spirito, mettendone in caricatura i difetti; or grossolano, or fino e sottile; ora pigliava batoste che mandavano il pubblico in visibilio, or le dava con non minor festa. Era insomma tutto quanto il pubblico”.
 

Luigi Natoli: Ferrazzano. Nell'unica versione originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia dal 30 ottobre 1932.
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Luigi Natoli: Il teatro dei Travaglini oggi teatro Bellini. Tratto da: Ferrazzano.


Era questo detto dei Travaglini o più modernamente dal nome del proprietario, di S. Lucia; dove recitavano le compagnie dei comici; e che poi rifatto, abbellito e prevalso il secondo nome, si adattò a teatro d’opera, rivaleggiando con quello più grande dei musici detto di S. Cecilia; finchè ingrandito prese il nome di Carolino; e fu il solo e glorioso teatro d’opera di Palermo, anche quando, mutato il regime, fu intitolato al nome imperituro di Bellini. Allora, nel 1775, era un piccolo teatro che di fuori non annunziava punto che nascondesse una sala da spettacoli. Una tettoia difendeva la porta sulla quale una tabella di legno portava dipinto lo scritto: “Teatro di Travaglini”; un corridoio senza luce, umido, con le pareti grommose, conduceva all’ingresso del teatro, in fondo a un breve spazio. Una sala capace di trecento persone e tre file di palchi; non vi erano poltrone, che allora non si usavano, ma sedie numerate; una grande lumiera pendeva dal soffitto. Di giorno bisognava abituarsi al buio per potersi movere e non inciampare in qualche sedia, ma di sera si illuminava e si vedeva bene la fioritura delle belle vesti e la bianchezza delle carni sull’addobbatura rosso cupo dei palchetti. L’illuminazione era a cera nella lumiera e nei trionfi dei palchetti, ad olio sul palcoscenico. Il quale era più tosto angusto; aveva in giro gli stanzini degli attori, piccoli e malmessi, alcuni, invece di porta, erano difesi da una tendina; gli uomini stavano da una parte in tre stanzini comuni, le donne in due, pochi stanzini erano privilegiati. L’attrezzatura si componeva di tre o quattro scene con le rispettive quinte; le scene erano arrotolate in alto e trattenute da corde che penzolavano da un lato.
In quel tempo vi agiva una compagnia condotta da un siciliano, che godeva grande opinione di buon attore, e recitava nelle parti di padre nobile: si chiamava Domenico Minniti, era nato per così dire in teatro, perché era figlio di comici. I suoi attori erano siciliani, ma il “Tiranno” e la moglie erano napoletani, Antonio Zardo e Giuliana Buzelle, che in arte recitava da Beatrice. Era quasi tutta una famiglia, chè fra loro erano imparentati: padri, madri e figli recitavano o prendevano parte della compagnia come attrezzisti o trovarobe. Ma Floristella no; era una trovatella o per essere più esatti, una figlia dell’arte trovata in un angolo della porta di casa di Ferrazzano una sera al ritorno dal teatro.
Si rappresentava il “Don Chisciotte”, commedia tutta da ridere, che era il melodramma di Apostolo Zeno ridotto a commedia non certe innovazioni dal Minniti. Molte scene si facevano a braccio, fra cui quelle del Minniti e quelle del Ferrazzano. I personaggi avevano subito anche loro delle trasformazioni, e in generale lo spirito della commedia era reso più allegro dell’originale. Il duca aveva preso un nome, si chiamava “Asdrubale”, ed era rappresentato da Antonio Zardo; la duchessa si chiamava “Doralinda” e la sosteneva una attrice, Anna Saverino, “Don Chisciotte” era il Minniti, “Sancio Panza” il Ferrazzano, “Rosaura” Giuliana Buzzelle, “Lauretta” Stefania Corona, “Don Alvaro” Vincenzo Migliocco, “Florindo” Nino Pollione, “Donna Filomena” Carmela Grassa.
 
 
 
Luigi Natoli: Ferrazzano. Nell'unica versione originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia dal 30 ottobre 1932.
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Luigi Natoli: La scoperta delle origini. Tratto da: Calvello il bastardo.


Del resto da quel punto incominciava per lui una vita nuova: Corrado Maurici, nonostante quel documento notarile, era morto, con Dorotea. Lo stesso giorno in cui se ne affermava l'esistenza legale, incominciava la vita Corrado figlio di ignoti: e Corrado figlio di ignoti, anche lui seme gittato al vento della vita, doveva separarsi interamente dal passato. Separarsi? E non era lì, in quel passato, il mistero della sua nascita, e della morte di Dorotea? Povera Dorotea! Non poteva pensare a lei senza sentir dentro di sè l'oscuro sospetto di un sacrificio grandissimo.

Il giorno dopo, uscendo dal quartiere, invece di recarsi dal notaio, andò a trovare don Biagio Perez. Il bravo uomo gl'ispirava una grande fiducia, per la simpatia che gli dimostrava; una simpatia paternamente affettuosa. Don Biagio, che era un uomo colto e aveva larghe conoscenze, poteva dargli uno schiarimento che desiderava. Lo trovò in casa, nello studio, intento a gettar giù la tela di una nuova commedia. 
Don Biagio lo accolse con cordiale espansione:
- Oh, caro sergente! che buon vento?
Ma si accorse del volto pallido e grave del giovane e dei segni di lutto sulla divisa.
- Che cos'è? Che v'è accaduto?
- Mia madre! – rispose tristamente.
Don Biagio, con una sorpresa dolorosa e compassionevole in volto, strinse le mani di Corrado, come per condolersi ed infondergli coraggio; poi sospirò e mormorò la solita frase:
- È un passo al quale tutti siamo costretti. Bisogna sopportare il dolore con fortezza.   
Stettero un minuto in quel silenzio pieno di parole che non si dicono; poi Corrado domandò:
- Avete conoscenza di araldica?
- Un po'.
- Se vi mostrassi uno stemma, riconoscereste a quale famiglia appartiene?
- Se è di nobiltà nostra, di Palermo, sì, certamente.
- Guardate.
Trasse dalla tasca della sottoveste la borsetta di seta, e la porse al Perez.
- L'avete trovata? – domandò, prendendola.
- Sì...
- E allora non vi sarà difficile restituirla. Scudo d'argento, con sbarra traversata all'angolo e squadra nera col vertice sopra... È 1'arme dei Calvello....
- Dei Calvello?
- Nobiltà di prim'ordine. Andrea Calvello coronò re Ruggero II, da allora in poi i Calvello acquistarono il diritto di portar sul cuscino la corona regale nelle solennità delle coronazioni. Non lo sapete?
- Calvello !... – ripetè Corrado sbalordito.
- Sono duchi di Melia e baroni dell'Arenella. Oggi rappresenta la casa don Goffredo Calvello e Eschero, che ha per moglie donna Laura Castello e Giglio. Il loro palazzo è alla Gancia... Un gran signore. Don Antonio, suo primogenito e futuro erede, sposò donna Rosa Caracciolo di Napoli...
Ma Corrado non udiva; dentro di sè ripeteva quel nome con uno sgomento del quale non sapeva darsi ragione...
 


Luigi Natoli: Calvello il bastardo. Nell'unica versione originale riveduta e corretta dall'autore e pubblicata dalla casa editrice La Gutemberg nel 1913

Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online.
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
 








Luigi Natoli: Il casotto delle Vastasate. Tratto da: Calvello il bastardo.


Il Casotto era lontano: giù a piazza Marina, quasi un miglio di strada. Era il teatro popolare, o, come si diceva anche, nazionale, dacchè la Sicilia era una “Nazione” per sè, e il dialetto era considerato come lingua nazionale.
Poiché i Signori avevano per loro i teatri di Santa Cecilia e di Santa Lucia, alcuni popolari avevano verso il 1780 fondato un teatro per loro; ed avevano costruito una grande baracca, nella piazza Marina, nella quale recitavano commedie in dialetto, spesso improvvisate, e delle quali i personaggi principali erano i facchini di piazza.
Facchino, in dialetto, si dice vastasu, vocabolo prettamente greco; vastasate si chiamarono quelle commedie, e Casotto delle vastasate il teatro.
Attori e commedie levarono grido.
Fino allora a Palermo non s'era mai visto nulla di simile. C'erano state vecchie commedie, recitate da comici di mestiere, nelle quali il tipo buffo siciliano era rappresentato dal solito Travaglino, o dal vieto Nardo; due maschere oramai insipide i cui lazzi e le cui buffonerie si ripetevan sempre gli stessi. Del resto le commedie non eran molte, e per riudirle bisognava aspettare qualche compagnia di comici randagi e disperati. Figurarsi dunque la sorpresa e il piacere di vedere sul palco non piú quelle maschere, ma personaggi vivi, che si vedevano ogni giorno: gli artigiani, i provinciali, e più i facchini di piazza col loro linguaggio, coi loro gesti, con le loro bestialità, i loro pettegolezzi, le loro baruffe, i loro piccoli intrighi! Un mondo nuovo!
E non eran mica del mestiere, gli attori; tutt'altro. Gente che di mattina attendeva ad altro ufficio, spesso in aperto dissidio con Talia: Giuseppe Marotta che era il capocomico, ed era un vero creatore di tipi, era portiere del giudice della Monarchia; Giuseppe Sarcì portiere dell’Imprese del Lotto; degli altri chi era operaio, chi sarto, chi povero azzeccagarbugli; e pure quanta verità, quanto sapore di arte spontanea in quei comici improvvisati!
Si capisce che la fortuna della Compagnia aveva acceso cupidigie ed emulazioni. Intorno al teatro del Marotta ne erano sorti degli altri; e altre compagnie si eran formate, ma invano: Marotta non ce n'era che uno, e don Biagio Perez, che era il poeta comico della Compagnia, non aveva competitori.
A questo teatro popolare si recava spesso Corrado, verso sera, quando era la stagione; e di solito lo diceva alla mamma, che talvolta lo accompagnava.
 
 
 
Luigi Natoli: Calvello il bastardo. Nell'unica versione originale riveduta e corretta dall'autore e pubblicata dalla casa editrice La Gutemberg nel 1913.
Pagine 880 - Prezzo di copertina € 25,00.
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online.
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it

mercoledì 7 febbraio 2018

Luigi Natoli: Calvello il bastardo.

Calvello il bastardo è il primo grande romanzo storico di Luigi Natoli, pubblicato con lo pseudonimo di William Galt. Così come in tutti gli altri che seguiranno, l'azione si svolge in Sicilia ed è proprio la Palermo borbonica del 1792 a fare da sfondo alle avventurose vicende di Corrado Maurici, che lo portano da semplice sergente dei fucilieri nelle milizie reali, a erede, sebbene bastardo, di una delle più blasonate famiglie nobiliari di Sicilia: i Calvello. Nobiltà antichissima che aveva il privilegio, ancor prima della dominazione spagnola, di portare il cuscino con la corona nelle cerimonie d'incoronazione dei reali. Un grande nome, un grandissimo peso che condiziona la vita di Corrado facendola diventare avventurosa in tutte le sfaccettature del bene e del male. Una vita costellata da un grande amore, intorno al quale ruotano forti passioni, inestinguibili odi, amicizie saldissime, idee liberali e feroci vendette.
In questo romanzo compaiono tutti i temi cari a Natoli, in particolare quelli di eguaglianza e giustizia, di libertà e amore. Un amore assoluto per il popolo siciliano, perseguito e affamato dalla tirannide borbonica, e che da sempre insofferente alle dominazioni straniere e contagiato dalle idee rivoluzionarie francesi, muove con Francesco Paolo Di Blasi i primi moti d'insurrezione anelanti la libertà. Compare anche il netto contrasto fra la frivola e ricca nobiltà palermitana e la popolazione allo stremo delle forze, soggiogata da preconcetti e superstizioni secolari che il Natoli disprezza e combatte cercando di instillare l'orgoglio di appartenenza al grande popolo siciliano, democratico, libero e giusto.
E infine c'è l'amore dello scrittore per i grandi sentimenti positivi spesso messi a stridente confronto con i loro opposti, e così i binomi di odio e amore, pietà e malvagità, onestà e ingiustizia, prepotenza e altruismo, animano le pagine di questo romanzo fantasioso e al contempo reale, carico di colpi di scena con un finale del tutto imprevedibile e amaro. Un grande romanzo popolare, unanimemente riconosciuto fra i più belli e perfetti del genere. Dopo Calvello il bastardo seguiranno altri 26 romanzi, senza che il lettore percepisca che è la sua opera prima. Non troverà, infatti, un autore acerbo e pronto a maturare negli scritti successivi; non troverà alcuna evoluzione di pensiero o d’espressione stilistica, e questo perché Natoli, così come i veri geni dell'umanità, confeziona subito un romanzo perfetto che nulla ha da invidiare ai seguenti, non facendo trasparire alcuna crescita dello scritto o delle idee perché già maturo così. Creando gesta ed eroi che si imprimono indelebili nella memoria del lettore.

Luigi Natoli: Calvello il bastardo. Grande romanzo storico siciliano.
Pagine 880 - Prezzo di copertina € 25,00.
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online. Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 

Luigi Natoli: Calvello il bastardo. Grande romanzo storico siciliano.

Calvello il bastardo, il primo grande romanzo storico siciliano di Luigi Natoli, pubblicato a puntate dall'aprile al settembre del 1907 in appendice al Giornale di Sicilia con pseudonimo di William Galt, e in seguito riveduto e corretto dall'autore e pubblicato dalla casa editrice La Gutemberg in dispense nel 1913. Ed è in questa ultima ed unica versione originale che torna, dopo più di cento anni, in tutte le librerie e i siti di vendita online, ad opera della casa editrice I Buoni Cugini.
Pagine 880 - Prezzo di copertina € 25,00.
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it.
Scontistica riservata per librerie e biblioteche.
Copertina: disegno di Niccolò Pizzorno. Grafica di Daniele Calabrese. 

Luigi Natoli: I mille e un duelli del bel Torralba.

La prima e la seconda puntata, pubblicate sul Giornale di Sicilia il 1 febbraio 1926. 

Tranne qualche rara eccezione, tutti i romanzi di Luigi Natoli furono pubblicati in appendice al Giornale di Sicilia con lo pseudonimo di William Galt. Alcuni di questi ebbero la fortuna di essere stampati in libro grazie all'interesse di qualche casa editrice, mentre altri rimasero nelle ingiallite pagine del Giornale di Sicilia abbandonati ad un ingrato oblìo. A partire dal 2014 la nostra casa editrice, dopo un complesso lavoro di ricerca e ricostruzione, ha pubblicato questi romanzi dimenticati e finalmente lavori come Squarcialupo, Alla guerra!, Gli ultimi saraceni, sono stati restituiti al pubblico, alcuni anche a distanza di cent'anni. 
I mille e un duelli del bel Torralba è l'ultima di queste opere da noi strappata all'abbandono, ed oggi, a novantadue anni dalla sua prima apparizione sul Giornale di Sicilia, rivive per la prima volta in un libro incontrando nuovi lettori proprio come se si trattasse di un inedito. 


Pagine 456 - Prezzo di copertina € 24,00
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online. 
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it