venerdì 28 aprile 2017

Luigi Natoli e il Medioevo siciliano: Francesco Ventimiglia, conte di Geraci, sposa madonna Costanza Chiaramonte - Tratto da: Mastro Bertuchello


Non erano i Chiaramonte così ricchi quanto i Ventimiglia, nè così addentro nelle grazie del re; ma vantavano più alte e più antiche origini. Si dicevano discendenti da Carlo Magno; e la tradizione di questa discendenza, anni più tardi, il più possente della casa, avrebbe fatto dipingere sul soffitto del grande salone dello Steri.
Avevano una fanciulla in casa, Costanza, figlia di Manfredi I, orfana di recente, che il fratel suo Giovanni avrebbe voluto accasare col conte Francesco. L’unione di queste due famiglie significava avere il dominio del regno. Giovanni era più giovane di messer Francesco, ma più ambizioso. Aveva anche lui sostenuto incarichi del re presso la corte imperiale; aveva combattuto con valore contro gli angioini, mirava forse a più alti uffici, ai quali certamente il parentando coi Ventimiglia avrebbe dischiuse o agevolato la via.
Che il conte avesse già una corona di figli illegittimi e un’amante, non era cosa che potesse impedire un matrimonio. Chi non aveva allora figli naturali? Sopra di essi non pesava la vergogna che nei secoli posteriori segnò la loro nascita: i padri ottenevan per loro signoria e uffici; e non mancavano nobili case che avevano per capostipite un bastardo. Re Tancredi non ebbe forse sangue illegittimo? E messer Orlando d’ Aragona non era un bastardo del re Federigo?
Messer Francesco poteva ben tenersi attorno i figli, e forse anche l’amante; ma doveva per obbligo al suo nome, ai suoi maggiori, prender moglie una gran dama.
Gli furon posti intorno amici, congiunti, servitori, per suggerire, insinuargli nell’animo questa necessità. Il vecchio servitore ebbe promessa di ricco dono, se giungeva a persuadere il suo padrone. Messer Francesco non se ne dava per inteso. Quando, qualche volta, il suo pensiero si fermava sui suggerimenti del servitore, bastava uno sguardo tenero e profondo di donna Margherita, per spazzar via, come un colpo di vento, quelle idee lievi e malferme come foglie ingiallite.
Nella Pasqua del 1322, in un torneo tenutosi nelle feste per la coronazione dell’infante Pietro, che re Federico si associava al trono, messer Francesco Ventimiglia vide a un palco, fra altre dame, la fanciulla dei Chiaramonte, Costanza.
Era così bella, così gentile, così affascinante, che messer Francesco non potè non ammirarla. Certamente ella sarebbe stata una degna contessa di Geraci. Avrebbe recato non soltanto la beltà e la ricchezza, ma anche lo splendore di un nome, che in quei giorni sopravanzava su tutti. Il suo orgoglio si destò: l’idea di quelle nozze, che da prima aveva scacciato come assurda, cominciò a sembrargli conveniente e possibile. Ci pensò sopra.
Batti oggi, batti domani, la vinse. Messer Francesco domandò la mano di madonna Costanza, e giammai nozze suscitarono tanto consenso e tante invidie, quanto quelle, che salirono alla importanza di un avvenimento storico. Esse furono celebrate nel maggio di quell’anno con pompa regale.
Madonna Margherita non si oppose, non si dolse, non si adirò. Quando il conte un po’ impacciato le annunziò la necessità di quelle nozze, chinò il capo rassegnata, il conte non vide il lampo che quei begli occhi sfolgorarono prima di chinarsi, né le lagrime che luccicavano tra le palpebre. Vide quella sommissione inaspettata, quella mansuetudine silenziosa, e se ne commosse.
Quando messer Francesco verso sera, se ne fu andato, Madonna Margherita si gittò sul letto piangendo disperatamente di dolore, di collera, di gelosia. I sogni che aveva vagheggiato per sé e pei figli svanivano. Ella non sarebbe mai stata altro che la ganza del nobile conte, e i suoi figli, bastardi. Altri avrebbe raccolto l’eredità che ella aveva sperato pel suo Franceschello; quella Madonna Costanza avrebbe con le sue carezze obbligato il conte a scacciare la povera amante. Tradita, abbandonata, forse miserabile, che sarebbe stato di lei? Che dei figli?...
 
 
 
Luigi Natoli: Mastro Bertuchello - Primo volume di Latini e Catalani
Prezzo di copertina € 22,00 - Pagine 575
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Disponibile su tutti i siti di vendita online e a Palermo nelle librerie indicate nella homepage del sito.
 

Luigi Natoli e il Medioevo siciliano: Francesco Ventimiglia conte di Geraci conosce madonna Margherita Consolo. Tratto da: Latini e Catalani vol. 1 - Mastro Bertuchello


 
Che bisogno aveva il conte, allora giovane e avido di piaceri, innamorarsi sul serio di quella giovane? Bella, sì, lo era: ma anche le altre donne di cui egli si era incapricciato eran belle, e tuttavia messer Francesco non si era perduto dietro a loro. Prendeva e lasciava. Quella volta, no. Madonna Margherita Consolo non fu così facile a cedere: era una fanciulla modesta e riserbata; arrossiva quando vedeva il conte, e il suo volto si illuminava d’un sorriso di gioia: ma non osava neppure parlargli dalla finestra.
L’uomo è la bestia più singolarmente caparbia in amore; e più si vede negato di cogliere il frutto, più si ostina a volerlo cogliere, a costo di commettere le più grosse corbellerie. Il conte perdette il giudizio. Diede qualche colpo di spada per sbarazzarsi di qualche competitore: e una notte entrò violentemente dalla finestra nella camera della fanciulla, e non ne uscì che all’alba. Voi crederete che soddisfatta la voglia e il puntiglio di messer Francesco fosse votato alla ricerca di qualche altro fiore? Nossignori! Quella fanciulla che pareva timida e vergognosa, doveva possedere qualche incantesimo; e avvenne la cosa più illogica per le abitudini del conte, quella cioè di rimaner fedele a madonna Margherita, fino al punto di toglierla con sé, in una sua casa, e convivere con lei, come fossero stati marito e moglie. Questo avvenne intorno al 1312. Io non ero ancora nato; e questi fatti mi vennero raccontati dai più vecchi.
Nacque un primo figlio, al quale madonna Margherita volle che fosse posto il nome del padre, vezzeggiandolo in Franceschello. Il conte aveva giù toccato i trent’anni, l’età in cui gli affetti cominciano a diventar più saldi; quel figlio fu la sua gioia e il suo orgoglio; ma la bella Margherita gliene regalò un secondo, e si chiamò Aldoino, e poi un terzo, Manuele… il conte si vide crescere intorno una famiglia, che appunto perché illegale, lo circondava di carezze e di cure.
Certo la stirpe dei Ventimiglia non si sarebbe estinta; ma i conti di Geraci, i signori feudali sarebbero cessati con lui. Madonna Margherita non era nobile: e re Federigo, il quale vagheggiava pel suo favorito un gran maritaggio, non era disposto a riconoscere quella figliolanza.
 Franceschello veniva su bello e vigoroso, che poteva essere insignito del vessillo e delle insegne comitali.
V’era un’altra grande e illustre famiglia, antica nell’isola da quanto quella dei Ventimiglia, venuta anch’essa di Francia coi Normanni, e che durante la guerra del Vespro, aveva acquistato fama: quella dei Chiaramonte...
 
Luigi Natoli: Latini e Catalani vol 1 - Mastro Bertuchello.
Prezzo di copertina € 22,00 - Pagine 575
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giovedì 27 aprile 2017

Luigi Natoli e il Medioevo siciliano: messer Francesco Ventimiglia conte di Geraci. Tratto da: Latini e Catalani vol. 1 - Mastro Bertuchello


Messer Francesco Ventimiglia, conte di Geraci, vantava sangue regio. Una tradizione di famiglia, che però non è avvalorata da alcun documento, gli attribuiva discendenza dai principi della Casa d’Altavilla: certo le armi dei Ventimiglia erano quelle stesse dei re normanni di Sicilia: lo scudo d’azzurro traversato da una fascia a scacchi alternati bianchi e rossi.
Messer Francesco era uno dei più potenti signori del reame; il suo vasto dominio si stendeva dal mare fino sopra le Madonie.
Al tempo della catastrofe comprendeva una ventina di feudi, Sperlinga, Pollina, Castelbuono, Golisano, Gratteri, Sant’ Angelo, Malvicino, Tusa, Castelluccio, le due Petralie, Gangi, S. Marco, Belici e altre terre minori e casali, lo riconoscevano signore: alla sua casa,per diritto ereditario concesso dai re, spettava l’ufficio di Gran Camerario, una delle sei o sette dignità supreme del regno.
L’amicizia e la protezione di chi gli era largo al re Federigo, che lo aveva incaricato di ambasceria pel papa, e lo aveva dato compagno al principe Pietro nella escursione in Toscana, lo avevano fatto conte di Geraci: i servigi resi da lui al re e al regno travagliato dalle continue pretensioni della corte angioina, la ricchezza, l’ampiezza della stato ne avevano fatto il personaggio più rispettato, più temuto, più invidiato. Non poteva dire di essere amato o di godere salde amicizie. Non se le accattivava. Facile agli impeti, violento, instabile nelle relazioni, vago di piaceri e di novità, superbo della sua nobiltà, spregiatore degli altri, generoso fino alla prodigalità e nel tempo stesso geloso dei suoi diritti, prode, irriflessivo, era un impasto di buone e di cattive qualità.
Ora molti anni innanzi, una mattina, ascoltando messa nella chiesa di S. Maria Maddalena, alla Galca, messer Francesco vide entrare una giovinetta assai bella, e con certi occhi che trapassavan come dardi il cuore di chi la mirava. Era accompagnata da una vecchia, la nutrice forse o la nonna, ché poteva essere l’una o l’altra. Che bisogno aveva il conte, allora giovane e avido di piaceri, innamorarsi sul serio di quella giovane? Bella, sì, lo era: ma anche le altre donne di cui egli si era incapricciato eran belle, e tuttavia messer Francesco non si era perduto dietro a loro. Prendeva e lasciava. Quella volta, no. Madonna Margherita Consolo non fu così facile a cedere....
 
 
 
Luigi Natoli: Latini e Catalani vol 1 - Mastro Bertuchello.
Pagine 575 - Prezzo di copertina € 22,00 - Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
 

martedì 25 aprile 2017

Luigi Natoli e l'Italia libera

O figliuoli. Questa Italia così bella, così grande, così possente, così ricca; questa Italia che così godete l'abbiam fatta noi. E' sangue del nostro sangue. Amatela come noi, figliuoli: essa è la gioia e la gloria del mondo!

Luigi Natoli

venerdì 21 aprile 2017

Luigi Natoli: L'ingresso di Ferdinando IV a Palermo. Tratto da: I mille e un duelli del bel Torralba.


C’era nel cielo mezzo sgombro di nubi un sorriso di sole; e nei visi un’aria di contentezza. Lungo la via Toledo fino ai Quattro Canti stavano allineate le maestranze, ma senz’armi: ognuna col proprio console e i propri ufficiali vestiti d’uniforme turchina con le risvolte rosse; tutti avevano nel cappello la coccarda rossa: nella via Maqueda era schierata la guardia dei Miliziotti, specie di milizia urbana. Intanto attraversavano le due strade le carrozze dei ministri, quelle del Senato, dei grandi Signori, per andare al Molo; passava la carrozza reale tirata da sei cavalli frigioni. La folla si assiepava dietro le file delle maestranze e dei Miliziotti; si sapeva che lo sbarco del re non sarebbe stato annunziato da nessun colpo di cannone, né da salve di moschetteria, e però si aspettavano di veder comparire a un tratto il corteo reale, dallo stradone dei Quattro Venti.
E finalmente dopo qualche ora buona, si udì un clangore di trombe. Per la folla corse un grido di bocca in bocca:
- Eccolo! Eccolo!
Apparvero innanzi due cavalleggeri con le pistole in pugno, poi con un nugolo di lacchè, di staffieri, che precedevano la carrozza reale fiancheggiata dagli alabardieri. Vi era dentro il re, vestito da generale, col principe ereditario Francesco, il duca Gravina e il marchese del Vasto. Dietro la carrozza, cavalcavano due cor.... di gabinetto, e poi quattro cavalieri con le sciabole sguainate; le trombe e i tamburi del reggimento principe Alberto, il reggimento Esteri; in fine le carrozze dei signori. Via via che il re passava, la folla applaudiva e gridava freneticamente evviva: Ferdinando salutava sorridendo, e mormorava chi sa quali facezie al figlio, che pallido e floscio gli sedeva accanto, e pareva covasse qualche segreto malore. 
Per la seconda volta, il 25 gennaro del 1806 il re Ferdinando IV, fuggendo le armi francesi condotte da Giuseppe Bonaparte e dal generale Massena veniva a cercare un ricovero e una difesa in Sicilia; veniva nel mese seguente la regina Maria Carolina coi principi, con la principessa, con la nuora Isabella seconda moglie del principe ereditario Francesco: e con loro e dietro a loro circa due migliaia di emigrati napoletani, e molti francesi, che per la seconda volta venivano a pesare sulle esauste spalle della Sicilia; e soprattutto venivano gl’Inglesi, non da ospiti questa volta, ma da padroni....
 
 
 
Luigi Natoli: I mille e un duelli del bel Torralba
Prezzo di copertina € 24,00 - Pagine 456 - Sconto 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice.
Disponibile in tutti i siti di vendita online e a Palermo nelle librerie indicate al sito www.ibuonicuginieditori.it

 

 

Luigi Natoli nella collana edita I Buoni Cugini editori a "La via dei Librai" il 22 e 23 aprile a Palermo, sul Corso Vittorio Emanuele .



In occasione della giornata mondiale del libro, all'evento "La via dei Librai" che si terrà a Palermo nei giorni 22 e 23 aprile lungo la via del Cassaro (odierno Corso Vittorio Emanuele) sarà presente Luigi Natoli nella collana edita "I Buoni Cugini editori". I venti volumi ad oggi pubblicati, saranno in vendita presso la Libreria Zacco - Corso Vittorio Emanuele 423
 
 

mercoledì 19 aprile 2017

Luigi Natoli: L'Accademia della Stella. Tratto da: I Cavalieri della Stella o La caduta di Messina


L'accademia della Stella di cui egli faceva parte, e aspirava ad esser capo, o, come si chiamava, Principe, era una compagnia o congregazione o scuola, o tutto questo insieme, di cento cavalieri, di nobiltà antica e indiscutibile, che face­van professioni d'armi allo scopo di for­nire eccellenti militi nella perpetua guer­ra contro i barbareschi: una specie di or­dine militare – in origine – non dissi­mile nello scopo fondamentale da quello dei cavalieri di S. Giovanni e di S. Stefa­no; ma senza alcun carattere monastico o voto minore; uguale alla Congregazio­ne d'arme, che s'era istituita in Palermo nel secolo XVI.

Posta sotto la protezione dei Re Ma­gi, aveva assunto come insegna la Stella miracolosa apparsa ai tre re d'Oriente, in­castrandola nella Croce di Malta: d'onde il nome di Accademia della Stella.
Col volger del tempo, pareva aver di­menticato il suo scopo originario; e non mandava più i suoi cavalieri a dar la cac­cia alle navi mussulmane; ma continuava con uno sfarzo, con una magnificenza tutta spagnola, a dar mostra di sè nella bravura de’ suoi cavalieri nelle grandi occasioni religiose o civili. L'insediamento del nuovo Senato, l'apertura della fiera, la festa dell'Assun­ta, l'arrivo o la partenza del vicerè, la pre­sa di possesso di un nuovo arcivescovo, le feste per la nascita di qualche principe reale, o di qualche matrimonio regio, o dell'incoronazione del re, e in generale tutti i grandi avvenimenti celebrati con pompa ufficiale, erano altrettante occa­sioni, perché i cavalieri della Stella faces­sero la loro sontuosa cavalcata, o cele­brassero una giostra, vaghissima per no­vità di giuochi, d'imprese, di divise, di colpi.
Non era facile far parte dell'Accade­mia. Oltre che si doveva essere nobili da almeno duecent’anni, il numero dei cavalieri era limitato a cento, e non vi si entrava che per elezione a bossolo, e dopo una serie di informazioni e di formalità per assicurarsi della degnità dell'aspirante: sicché far parte dell'Accademia si teneva a grande onore, e come un segno della nobiltà e della grandezza della casa, e i padri che già ne avevan fatto par­te, sollecitavano che quell'onore si trasmettesse nei figli, stabilendo una specie di successione ereditaria come in una paria.
 
 
 
Luigi Natoli: I Cavalieri della Stella o La caduta di Messina.
Prezzo di copertina € 26,00 - Pagine 954 - Disegni di Niccolò Pizzorno
A Palermo disponibile presso le librerie indicate nel sito. Disponibile presso tutti i siti di vendita on line e dal catalogo prodotti della casa editrice con lo sconto del 20% al sito www.ibuonicuginieditori.it
 
 

Luigi Natoli: La cappella Palatina. Tratto da: Guida di Palermo e suoi dintorni 1891


Cappella Palatina dedicata a S. Pietro è, forse, il più prezioso gioiello dell’architettura siciliana, sorta dalla fusione degli stili e delle ornamentazioni gotici, bisantini ed arabi. I musaici del portico del 1506 furono rifatti nel 1800; ma il vestibolo è avanzo dell’antico portico; sei delle colonne sono di granito egiziano. A sinistra del portico, incastrata sul muro è una iscrizione trilingue (araba, greca, latina) che ricorda un orologio fatto nel 1142 da un artefice di Malta, con macchine e ruote congegnosissime.
Questa cappella fu cominciata a edificare nel 1129 dal re Ruggero II, finita nelle sue parti nel 1132, e consacrata nel 1140; però alcuni musaici sono dell’epoca aragonese. Il tempio, in forma di basilica a tre navi è lungo 23 metri, e largo 13; le ogive poggiano su due file di colonne antiche di granito e di cipollino con capitelli corinzi e compositi, cinque per lato; ma le colonne dell’arco principale della solea e quelle della protesi e del diaconico sono addoppiate. La solea s’alza su cinque gradini; e la croce è sormontata da una cupola alta 18  metri, nella quale s’aprono otto finestre. Il soffitto, di legno, elegantemente scolpito e adorno di rosoni contornati d’iscrizioni cufiche. Bellissino l’ambone, dalla parte della protesi, sorretto da colonnine; accanto al quale un importante candelabro alto 4 metri e mezzo, di marmo bianco con ornati e figure, opera del secolo XII. Il coro, di stile gotico lombardo è opera moderna. Le pareti sono in basso coperte di grandi tavole di marmo inquadrate in bei fregi a musaico, e in alto sono istoriati da pregevoli musaici su fondo d’oro, i cui soggetti sono cavati 34 dall’antico testamento, 7 dalla vita di Gesù, 5 da quella di S. Paolo e 9 da quella di S. Pietro. I più antichi musaici sono nel coro, che rimontano all’epoca di Ruggero, eccezione fatta della figura della Vergine, restaurata ai tempi nostri. In fondo all’abside maggiore vi è una grande figura del Cristo che benedice, tenendo in una mano un libro aperto, su cui in greco è scritto “Io sono la luce del mondo, chi segue me non cammina fra le tenebre, ma avrà la luce della vita”. A giudizio di tutti questa cappella è un capolavoro dell’architettura medievale e, forse, la più bella del mondo...
 
 
Luigi Natoli: Guida di Palermo e suoi dintorni 1891 - Perfettamente ricostruita sulla edizione pubblicata da Carlo Clausen nel 1891 in occasione della Esposizione Nazionale,  corredata con le foto, le pubblicità e la cartina della città di Palermo dell'epoca ripiegata a fine volume.
Prezzo di copertina € 19,00 - Pagine 218
A Palermo, disponibile presso le librerie indicate nel sito.
Disponibile in tutti i siti di vendita online e dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
 

venerdì 14 aprile 2017

14 aprile 1857: 160 anni fa nasceva Luigi Natoli


All'arte avevo dato io i primi sogni della giovi­nezza: li sacrificai a quello che mi apparve dovere di cittadino; e ho frantumato la mia attività in mille pic­cole cose, di vita effimera, per esumare, divulgare le memorie del nostro passato; per farle amare; per spronare altri alla storia nostra, che non defrauda, ma aggiunge nuove immarciscibili foglie all’alloro di che si inghirlanda l’Italia madre; e per far sentire ai giovani l’orgoglio di essere siciliani, ma nel tempo stesso il dovere che incombe sopra di loro, di esser degni del passato glorioso; e render nelle opere feconde della pace l’isola nativa emula delle altre regioni d’Italia, come emula, se non pur superiore, fu per rinuncie, per sacrifici, per sangue generosamente versato.

Troppo io presunsi; lo so: ma se da questi scritti movesse qualcuno di maggior ingegno e più matura pre­parazione, e con maggior agio, a studiare profonda­mente e a rivelare questo o quell'aspetto del nostro Ottocento, io mi sentirei pago, e non rimpiangerei i sogni della mia giovinezza oramai tramontata da un pezzo.
 
Luigi Natoli

martedì 4 aprile 2017

Luigi Natoli: La via dei librai

I Buoni Cugini Editori saranno presenti all'evento "La via dei Librai" a Palermo, nei giorni 22 e 23 aprile presso la libreria Zacco - C.so Vittorio Emanuele (di fronte chiesa del S. Salvatore) - Palermo.
 
 
 

Luigi Natoli: L'Abate Meli, romanzo storico siciliano


Don Giovanni Meli, se ne stava nel suo studio mode­stamente arredato, scartabellando un volume di medicina per una consulta che doveva fare. Era medico.
In quel tempo abitava una casa die­tro il coro della Chiesa dell'Olivella, casa modesta, dove erano vissuti suo padre, sua madre, due zie che erano morti, e l'avevano lasciato con due fra­telli, Stefano e Tommaso che si era fat­to frate nei domenicani e una sorella pazza.
Giovanni era il dotto della fami­glia, e il suo nome era famoso in tut­ta la Sicilia, come quello di un gran poeta.
Era un uomo di circa 50 anni, di statura media, bruno di volto, coi ca­pelli quasi neri, con parecchi fili d'ar­gento tirati indietro e legati con un na­stro, gli occhi nerissimi, vivaci; un'aria modesta, non curante di sè, ma pulita. Vestiva di nero, alla guisa degli abati ed infatti lo chiamavano «l'abate Me­li». Ma non lo era, anzi non era nep­
pure chierico, nè aveva i quattro ordi­ni e la tonsura, che prese l'ultimo an­no di sua vita per ottenere l'abazia che non ottenne. Era semplicemente il «dottor Meli», e si vestiva da abate per avere libero accesso nei monasteri, do­ve non si entrava, se non si appartene­va alla Chiesa, in un modo qualunque.
Di tanto in tanto in quella che scar­tabellava, guardava, pensando, nella parete, di contro, ove era una libreria con pochi volumi di medicina e molti di letteratura.
In quegli sguardi forse c'era un pen­siero medico, per la consulta che dove­va farsi, o piuttosto c'era un'immagine poetica che egli perseguiva, e che si frammezzava alla medicina?
Era già il celebre poeta che le dame si disputavano; ed egli non solo frequentava volentieri le riunioni, dove il gusto, la finezza, la si­gnorilità, davano esca alle sue odicine, che lo avevano fatto battezzare «il nuo­vo Anacreonte», ma accoglieva, forse in armonia col passato, gl'inviti della baro­nessa, più per abito che per curiosità. Ora attraversava le sale, osservando, aguzzando l'ingegno, sorridendo, con quella faccia serena, che le sventure del­la vita non osavano intaccare. Egli era conosciutissimo, passando, udiva parla­re di sè: – Abate Meli! – di qua e di là; la voce pubblica lo teneva per abate, ed egli non se ne faceva.
Vestito di nero, con l'aria di Abate, faceva un forte contrasto con la varie­tà dei colori vaghissimi. Pareva un ca­labrone in mezzo ai fiori; ma se parla­va, la giocondità che spandeva, riman­giava il paragone. Quella sera, in veri­tà non era di buon umore, la confiden­za di fra Francesco e la ricerca di quel nipote a cui doveva dare il plico del frate; e poi la morte di questo, l'aveva­no occupato per mezza giornata. La se­ra la preoccupazione era cessata, ma era rimasta quella tale melanconia in­definita, lasciatagli come retaggio.
 
 

 
Luigi Natoli: L'Abate Meli.
Pagine 725 - Prezzo di copertina € 25,00 - Sconto 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
Il volume comprende:
L'abate Meli - Romanzo
Giovanni Meli, studio critico - pubblicato per la prima ed unica volta nel 1883
Musa siciliana (nella parte dedicata alle poesie di Giovanni Meli) con traduzione del testo in italiano a fronte a cura di Francesco Zaffuto.
Disponibile in tutti i siti di vendita online e a Palermo presso le librerie indicate nel sito.