venerdì 5 maggio 2017

Luigi Natoli: Tullio Spada e il Castel dell'Ovo. Tratto da: Braccio di Ferro avventure di un carbonaro.


Tullio Spada ebbe una stanzetta al secondo piano che dominava la strada, lo specchio d’acqua e lasciava abbracciare con uno sguardo l’ampiezza del golfo, e dietro la linea del castello dell’Ovo, la punta di Posillipo verdeggiante di boschetti e sparsa di ville.
In quel quadro così ridente che commosse e lasciò pensoso Tullio, la massa cinerea e cieca del castello, gittato in mezzo al mare come una sentinella, metteva una nota di tristezza. Un singhiozzo in un canto.
Tullio Spada lo guardava con un senso di raccapriccio, o per lo meno di avversione; e rievocava qualcuno dei ricordi che vi erano legati. Ricordava che esso era stato fabbricato dal re di Sicilia Guglielmo I, che era stato fortificato da Federico II, il quale vi aveva conservato il suo tesoro. Ivi Carlo d’Angiò, infierendo crudelmente contro la famiglia del vinto re Manfredi, aveva chiuso in orrida cella la principessa Beatrice; e su quelle acque Ruggero Loria, il grande Ammiraglio, con quaranta galere Siciliane aveva assalito e sbaragliato settanta galere angioine, fatto prigioniero il figlio di Carlo D’Angiò, e liberata la principessa. Ivi era stata chiusa anche la regina Giovanna; e chi sa quante e quali vittime della prepotenza dei re e dei vicerè!
Tullio ricordò quelle vicende, contemplando dal balcone la massa grigiastra e trista del castello; ma un altro spettacolo più rattristante gli si offerse, abbassando lo sguardo sulla strada; dove le donne del popolo, luride, cenciose, oziavano al sole, dinanzi alle porte delle case, o frugavan le teste capellute dei figli, quasi nudi, sdraiati per terra ai loro piedi; o dove quattro o cinque lazzari seduti per terra giocavan disperatamente alle carte.
E allora Tullio pensò a tutta quella folla povera, ignorante, che pur vivendo in tanta bellezza di natura e di cose non sapeva nulla della vita civile; e confondeva insieme il furto, l’assassinio e le pratiche religiose; che si immolava pel re, commetteva barbarie pel re, senza saperne la ragione; che odiava ogni novità senza capirla; e alla quale quel re non aveva dato che una sola istituzione: il carcere; una sola libertà, quella di starsene al sole, sudicia, oziosa, cantando, elemosinando, rubando. E di pensiero in pensiero Tullio vide in quelle rivoluzioni scoppiate contemporaneamente, quasi, a Napoli e a Palermo, il principio di un’era novella; era di redenzione anche per quella plebe, per tutte le plebi del regno; e un sentimento di speranza gli aprì l’animo a un sorriso.
 
 
 
Luigi Natoli: Braccio di Ferro avventure di un carbonaro.
Pagine 320 - Copertina e illustrazioni interne di Niccolò Pizzorno
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