venerdì 28 aprile 2017

Luigi Natoli e il Medioevo siciliano: Francesco Ventimiglia, conte di Geraci, sposa madonna Costanza Chiaramonte - Tratto da: Mastro Bertuchello


Non erano i Chiaramonte così ricchi quanto i Ventimiglia, nè così addentro nelle grazie del re; ma vantavano più alte e più antiche origini. Si dicevano discendenti da Carlo Magno; e la tradizione di questa discendenza, anni più tardi, il più possente della casa, avrebbe fatto dipingere sul soffitto del grande salone dello Steri.
Avevano una fanciulla in casa, Costanza, figlia di Manfredi I, orfana di recente, che il fratel suo Giovanni avrebbe voluto accasare col conte Francesco. L’unione di queste due famiglie significava avere il dominio del regno. Giovanni era più giovane di messer Francesco, ma più ambizioso. Aveva anche lui sostenuto incarichi del re presso la corte imperiale; aveva combattuto con valore contro gli angioini, mirava forse a più alti uffici, ai quali certamente il parentando coi Ventimiglia avrebbe dischiuse o agevolato la via.
Che il conte avesse già una corona di figli illegittimi e un’amante, non era cosa che potesse impedire un matrimonio. Chi non aveva allora figli naturali? Sopra di essi non pesava la vergogna che nei secoli posteriori segnò la loro nascita: i padri ottenevan per loro signoria e uffici; e non mancavano nobili case che avevano per capostipite un bastardo. Re Tancredi non ebbe forse sangue illegittimo? E messer Orlando d’ Aragona non era un bastardo del re Federigo?
Messer Francesco poteva ben tenersi attorno i figli, e forse anche l’amante; ma doveva per obbligo al suo nome, ai suoi maggiori, prender moglie una gran dama.
Gli furon posti intorno amici, congiunti, servitori, per suggerire, insinuargli nell’animo questa necessità. Il vecchio servitore ebbe promessa di ricco dono, se giungeva a persuadere il suo padrone. Messer Francesco non se ne dava per inteso. Quando, qualche volta, il suo pensiero si fermava sui suggerimenti del servitore, bastava uno sguardo tenero e profondo di donna Margherita, per spazzar via, come un colpo di vento, quelle idee lievi e malferme come foglie ingiallite.
Nella Pasqua del 1322, in un torneo tenutosi nelle feste per la coronazione dell’infante Pietro, che re Federico si associava al trono, messer Francesco Ventimiglia vide a un palco, fra altre dame, la fanciulla dei Chiaramonte, Costanza.
Era così bella, così gentile, così affascinante, che messer Francesco non potè non ammirarla. Certamente ella sarebbe stata una degna contessa di Geraci. Avrebbe recato non soltanto la beltà e la ricchezza, ma anche lo splendore di un nome, che in quei giorni sopravanzava su tutti. Il suo orgoglio si destò: l’idea di quelle nozze, che da prima aveva scacciato come assurda, cominciò a sembrargli conveniente e possibile. Ci pensò sopra.
Batti oggi, batti domani, la vinse. Messer Francesco domandò la mano di madonna Costanza, e giammai nozze suscitarono tanto consenso e tante invidie, quanto quelle, che salirono alla importanza di un avvenimento storico. Esse furono celebrate nel maggio di quell’anno con pompa regale.
Madonna Margherita non si oppose, non si dolse, non si adirò. Quando il conte un po’ impacciato le annunziò la necessità di quelle nozze, chinò il capo rassegnata, il conte non vide il lampo che quei begli occhi sfolgorarono prima di chinarsi, né le lagrime che luccicavano tra le palpebre. Vide quella sommissione inaspettata, quella mansuetudine silenziosa, e se ne commosse.
Quando messer Francesco verso sera, se ne fu andato, Madonna Margherita si gittò sul letto piangendo disperatamente di dolore, di collera, di gelosia. I sogni che aveva vagheggiato per sé e pei figli svanivano. Ella non sarebbe mai stata altro che la ganza del nobile conte, e i suoi figli, bastardi. Altri avrebbe raccolto l’eredità che ella aveva sperato pel suo Franceschello; quella Madonna Costanza avrebbe con le sue carezze obbligato il conte a scacciare la povera amante. Tradita, abbandonata, forse miserabile, che sarebbe stato di lei? Che dei figli?...
 
 
 
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