giovedì 30 marzo 2017

Luigi Natoli: La giostra del re Martino - Tratto da: Il paggio della regina Bianca


Lo spettacolo era magnifico. La gradinata popolare sembrava un mare agitato. Era come una massa compatta, scura, che non stava un minuto ferma; qualcuno improvvisamente si alzava, faceva un gesto, che nessuno capiva, ma bastevole per destare la curiosità; altri si alzavano, il movimento si propagava, tutta una parte si levava in piedi, guardando, con un sussurrio di domande, di supposizioni, di scherni.
Ma a un tratto si sentì uno squillo di tromba; due araldi, a cavallo, uscirono sull’arena, la percorsero di trotto; vennero dinanzi al padiglione reale, e s’inchinarono, agitando i berretti piumati.
Venivano a prendere l’assentimento reale; ritornarono indi dinanzi al padiglione riservato ai cavalieri giostranti, sul quale era stesa una tenda.
A un nuovo squillo di tromba, la tenda si aprì, e uscirono i quattro giudici del campo, i quali, percorso il giro dell’arena, vennero a collocarsi sotto il padiglione reale, seguiti da scudieri e serventi, paggi e guardie.
Squillaron nuovamente le trombe, e uscirono i sei cavalieri tenitori del torneo, a cavallo, vestiti in tutta armatura, con le visiere alzate, la lancia appoggiata al piede. Ognuno di essi era seguito da due scudieri, che portavano lance di ricambio e lo scudo.
Erano, come aveva annunciato Simone, messer Sancio de Lihori, messer Gilberto Talamanca, Galcerando di Santa Pau, Giovanni Cabrera figlio di messer Bernardo, Artale de Luna, parente del re, Berengario de Bages.
Ognuno di loro aveva il proprio colore nella veste, nelle piume e nello scudo, corrispondente al colore del palvese attaccato alla antenna e allo stendardo che vi svolazzava sopra; e sullo scudo, oltre all’arme, era il motto o impresa che ciascun cavaliere aveva adottato; la ricerca del motto, dalla forma e dalla ricchezza della bardatura del cavallo e del vestito degli scudieri, formava per se stessa una gara, che aveva anch’essa un premio.
I sei cavalieri mantenitori percorsero l’arringo, fino al padiglione reale, e fatto il debito saluto ritornarono innanzi al proprio padiglione dove si schierarono.
Dall’altro lato del padiglione, opposti agli stendardi e ai palvesi dei mantenitori, v’erano gli stendardi e i palvesi dei cavalieri che avevano raccolto la sfida.
Il primo stendardo sventolava sopra un’antenna più alta delle altre, in cima alla quale si librava un’aquila dorata, con in petto le armi di Aragona. Lo stendardo era rosso e giallo; ma una grande sciarpa vi ondeggiava sopra, e portava tre colori simbolici: il bianco, il rosso e il verde.
Erano i tre colori che aveva adottato re Martino: (15) ed erano ripetuti da una banda che attraversava il palvese, sul quale stava scritto il motto: Esperando y vinciendo.
V’era poi lo stendardo di messer Sancio de Lihori, celestre, con un leone portante un giglio d’oro nella zampa; lo stesso era dipinto sul palvese, col motto: Fuerte y puro.
Lo stendardo di messer Gilberto Talamanca era partito di bianco e azzurro; il suo motto era: Istoi a onde mereezo; veniva poi lo stendardo di Galcerando di Santapau, rosso, con le tre sbarre d’argento per traverso; quello di Giovanni Cabrera giallo, con lo scudo orlato a scacchi bianchi e neri, e la capra nera nel campo d’oro; quello di Artale de Luna formato a scacchi gialli e neri, con una mezzaluna rovesciata nella parte superiore; quello di Berengario de Bages, con due cuori incatenati nel fondo verde. E ciascuno col suo motto.
Dall’altra parte dello stendardo reale vi erano quelli dei cavalieri che raccoglievano la sfida: Antonio Sclafani, conte di Adernò, con lo stendardo azzurro, e nel mezzo lo scudo partito di bianco e nero, con le due gru apposte; Giovanni Abatellis, stendardo bianco, e lo scudo partito con un grifo a destra, il sole raggiante a sinistra; Antonio di Santo Stefano, signor della Ginestra, stendardo rosso con lo scudo d’argento e la croce nera; Berlinghieri Ventimiglia, stendardo bianco, con lo scudo partito di rosso e d’oro e la banda a scacchi bianchi e azzurri, che fu già arme gloriosa dei re normanni; Corrado Lancia, stendardo verde e leon nero dalla lingua rossa, rampante nello scudo d’oro e Riccardo Filingeri, stendardo rosso e azzurro, con lo scudo azzurro dalla croce d’argento sparsa di campanelli azzurri. Anch’essi avevano il loro motto.
L’ultimo era lo stendardo nero, misterioso, col palvese dal cuore sanguinante attraversato dalla banda nera, e il motto oscuro, del quale nessuno poteva intendere il senso riposto....
 
 
 
Luigi Natoli: Il paggio della regina Bianca
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