venerdì 10 febbraio 2017

Luigi Natoli: Palermo nel 1159. Tratto da: Gli ultimi saraceni


È necessario indugiarsi un poco, per la intelligenza degli avvenimenti su particolari topografici; giacchè difficilmente ci si può formare un’idea di quel che fosse la parte superiore della città di Palermo nel secolo XII, occupata oggi da Villa Bonanno, dallo stereobato del palazzo reale, dalle caserme, dalla Prefettura e dal Seminario Arcivescovile. Allora formava un quartiere distinto dal resto della città, e chiuso da mura, che da una parte dominavano la palude del Papireto, e girando dietro al castello regio, piegando a mezzodì, scendevano lungo il Kemonia, fino all’altezza della Caserma della Trinità o Distretto Militare, donde, piegando nuovamente in linea quasi retta, correvano fino al Papireto, passando dinanzi al Campanile del Duomo, che probabilmente era una delle torri che munivano queste mura.
Il vasto recinto si chiamava con voce greca Galca: era sparso di chiese, percorso di strade, rallegrato di vigne e di giardini. Dalla Torre Pisana si partivano due stra­de, una percorreva presso a poco lo stesso asse della moderna via Vittorio Emanuele, e si chiamava As Simat, la fila, o latiniz­zando questo nome, la Semità del Cassaro. Tagliava in due dall'alto in basso la Galca, e, per una porta, si congiungeva al resto della Simat o ruga marmorea, che attraversava la città antica, in linea quasi letta, ed è oggi la via Vittorio Emanuele, l'altra strada percorreva invece la linea delle mura occi­dentali e settentrionali, passava dinanzi la chiesetta della Maddalena, ancor esistente dentro la Caserma dei carabinieri, la chiesa di S. Paolo, e scendeva giù, fino alla torre del Campanile del Duomo, passava dietro la cappella dell'Incoronazione, e finiva in una altra strada che si arrestava alla porta di S. Agata nel fiume del Papireto, o, arabicamente wadi, donde Guidda. Questa strada si chiamava Ruga magna Coperta, perchè era in fondo un lungo por­tico, murato da una parte, e illuminato da ampie finestre.
Due altre strade principali tagliavano la Semita, la ruga del Pissoto, o ruga Mag­giore che passava tra l'edificio dell'Aula regia e la chiesa di S. Costantino, (che an­cora sorvive presso a poco nell'antico sito), e si prolunga fra la caserma dei carabi­nieri e la caserma S. Giacomo ora Calatafimi; e la ruga di S. Nicolò dei Poveri, che costeggiava gli edifici romani, di cui si son trovate le vestigia, e passava tra la Prefet­tura e il Seminario arcivescovile, dove prendeva il nome di Ruga di S. Barbara. Questa strada, ora chiusa da un cancello, è ancora visibile.
Oltre gli edifici ricordati via via, e le chiese nominate, v'eran altre chiese nella Galca; v'era la chiesa di S. Maria dell'Itria, forse tra la Torre Rossa e S. Costantino; la chiesa di S. Maria la Mazara e quella di S. Giacomo, nell'area della caserma Calatafimi; la chiesa di S. Barbara Soprana, e più giù quella di S. Teodoro, con un o­spizio, e un bello e vasto viridario o giar­dino. Queste due chiese sparirono con la fabbrica del nuovo arcivescovato e del se­minario tridentino. Un'altra strada princi­pale, infine, quasi parallela alla Semita del Cassaro, correva lungo le mura meridio­nali; e poichè essa dominava il burrone del Kemonia, ed era, per così dire, una specie di lungo terrazzo o boulevard, prendeva nome di Sera, che in arabo significa ap­punto strada sulle mura o terrazzo o bou­levard. Questo Sera prendeva vari nomi, secondo gli edifici che costeggiava. Nella Galca, si chiamava Sera di S. Costantino. Oltre la Galca, correndo via per le antiche muraglie della città antica si chiamava successivamente Sera della Casa del Saraceno, Sera della porta di Sudan, Sera della casa del conte di Marsico, Sera delle case di Martorano.
Sbozzata così la topografia della Galca, riesce più facile immaginare dove e quanto fosse ampia la piazza nella quale si era raccolta la folla, per assistere alla pubblica decisione di una lite giuridica, per la qua­le, non essendovi altri elementi di prova, le due parti invocavano l'intervento della volontà divina, con una di quelle forme giudiziali in uso tra i franchi e introdotte dai principi normanni nella legislazione si­ciliana: il Giudizio di Dio.
 
 
 
Luigi Natoli: Gli ultimi saraceni.
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Foto: Trinacrianews.eu

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