martedì 7 febbraio 2017

Luigi Natoli: Giovannello Chiaramonte come Luigi XVII, delfino di Francia. - Tratto da: Il paggio della regina Bianca.



Martino, duca di Montblanc, bieco, crudele, avido, era uno spirito politico acuto e scaltro, che pur di raggiungere uno scopo, non si arrestava dinanzi ad alcun mezzo, per tristo che fosse. Egli possedeva la scienza dello stato, che doveva più tardi trovare la sua perfetta espressione in un suo conterraneo, Cesare Borgia. Aveva da lungo veduto il trono di Sicilia quasi vuoto. Non vi sedeva che una giovinetta, Maria, figlia di Federico III, regina di nome, ombra di un potere che era esercitato da quattro potenti baroni, i quali col titolo di vicari s’eran diviso il regno di Sicilia e vi governavano da signori indipendenti: il che aveva immerso l’isola nell’anarchia.
Ridare alla regina la sua autorità, sottomettere il baronaggio, reintegrare il governo poteva apparire come una salvazione. Bisognava però avere il diritto di intervenire.
Guglielmo Raimondo Moncada, uno dei quattro Vicari, venuto in discordia coi colleghi, fingendo di liberare Maria dalla soggezione in cui la teneva Artale Alagona, rapì la regina e la diede al duca di Montblanc, che ne fece la moglie del suo giovanissimo figlio Martino: e allora padre e figlio vennero in Sicilia con un forte esercito, e più coi raggiri che col valore, a poco a poco sottomisero il regno; e col supplizio di Andrea Chiaramonte nel 1392 posero fine alla indipendenza del regno e all’anarchia baronale.
Martino il giovane fu riconosciuto re: ma era troppo giovane per reggere il regno; e Maria, sebbene assai più matura d’anni, era troppo semplice e troppo malata per guidarlo. Di fatto regnò il vecchio duca, finchè la morte del re d’Aragona non lo chiamò a succedergli.
Il re, dunque, aveva affidato a messer Guglielmo Ventimiglia barone di Ciminna, la custodia di Giovannello Chiaramonte, orfano di Andrea, ultimo erede del gran nome, senza stato, senza avvenire, senza speranza.
Dopo la caduta del padre, il fanciullo era stato strappato alle cure materne.
La madre, madonna Isabella, era stata costretta a chiudersi in un monastero; egli fu dato al capitano di Catania; parendo forse al vecchio duca di Montblanc, atto di crudeltà, imprudente, impolitico, far uccidere per mano del boia un fanciullo innocente.
Il capitano di Catania si condusse col piccolo orfano, come presso a poco, parecchi secoli dopo si condusse mastro Simon col Delfino di Francia. La sua educazione, o meglio la sua tortura doveva avere lo scopo di fargli dimenticare la sua origine e la tragedia che aveva distrutto la sua famiglia. Il capitano di Catania, che forse aveva dei peccati da farsi perdonare dal re, adempiva al suo ufficio con soverchio zelo: il che sollevò qualche rimostranza nei signori, che alla fine vedevano in quelle torture una offesa alla loro casta.
Dopo la partenza del vecchio duca di Montblanc pel trono d’Aragona, qualcuno suggerì a re Martino di addolcire il regime di educazione di Giovannello Chiaramonte. E allora il re lo diede alle cure di messer Guglielmo Ventimiglia, che nella sua qualità di parente, poteva dar colore più umano alla prigionia.
Al filo di ferro aveva sostituito un filo d’argento; ma la prigionia non mutava.
La fanciullezza di Giovannello era trascorsa tra rigori e paure; la adolescenza cominciava fra paure e rigori.
 
 
 
Luigi Natoli: Il paggio della regina Bianca.
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Nella foto: Louis Charles delfino di Francia, figlio del re Luigi XVI


 

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