martedì 10 gennaio 2017

Luigi Natoli: Fabrizio di Torralba


Fabrizio non aveva ancora venti anni; ma pareva ne avesse ventiquattro; alto, ben tagliato, forte, il volto quadrato, il naso leggermente aquilino; gli occhi vivaci e intelligenti; un insieme gradevole, una espressione di franchezza, un po’ sbarazzina; egli riusciva subito simpatico a tutti.
Rodrigo aveva tra anni meno di lui, e gli rassomigliava; però con una espressione meno ardita. Tutti e due vestivano con eleganza; il che, dato il regime paterno, poteva parere miracoloso. Perché il conte di Torralba era rigido, duro e autoritario nel governo della casa, come lo era nell’aspetto, con quel viso arcigno che pareva avesse bandito il sorriso dalle labbra sottili e strette.
Pieno di un esagerato concetto della sua autorità esercitava sulla famiglia un potere più che assoluto, dispotico: al quale aveva assoggettato anche la moglie, che era tutto l’opposto di lui; grassoccia, molle, sorridente, carezzevole, che si sarebbe forse abbandonata alla sua indole affettuosa ed espansiva, se non glielo avesse impedito la soggezione che le metteva il marito. Dal loro matrimonio erano nati cinque figli: don Francesco, che era il primogenito, due femine che erano nel monastero della Pietà, Fabrizio e Rodrigo; ma per il conte non esisteva che un figlio solo: il primogenito, al quale dava un forte assegno mensile, e inoltre appartamentino proprio, servitori, carrozze, piena libertà di rientrare in casa la notte, quando gli piaceva; di far debiti, che il conte pagava. Per lui soltanto la bocca del conte trovava sorrisi e parole affettuose; non già per vero sentimento di tenerezza, ma perché don Francesco era il rappresentante della futura discendenza dei Torralba; era il futuro conte; il ramo privilegiato dell’albero genealogico. Ai cadetti invece non assegnava che una sommerella irrisoria, che non sarebbe bastata neppure per le calze; sulla quale essi dovevano vestirsi decorosamente, pagare il cappellaio, il calzolaio, fornirsi di biancheria e di pizzi, pagare il barbiere, far regali e dar mance: ragione per la quale nelle loro tasche i ragni avrebbero potuto filare le loro reti. Essi dovevano perciò industriarsi, per non sfigurare nella società aristocratica nella quale dovevano – per onore del casato – vivere. E facevano debiti col sarto, col calzolaio, con tutti. E li pagavano quando potevano; né i creditori protestavano. Oltre alla fiducia che avevano nei signori, ritenevano quasi dover loro far figurare i giovani cadetti delle nobili case; e pareva loro un disonorarsi rifiutandosi di vestirli con quella proprietà che conveniva alla condizione di essi. Del resto si rifacevano un po’ sui primogeniti e sui padri.

Luigi Natoli: I mille e un duelli del bel Torralba.
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