giovedì 1 dicembre 2016

Luigi Natoli: il paggio della regina Bianca. Quadro storico:il duca di Montblanc


Il papa, vantando i diritti della Chiesa, mandava il divieto a Pietro IV; lodava lo zelo dei vicari che gli si protestavano fedeli; ed affermava che il baronaggio non era disposto a subire dominio straniero. E allora Pietro IV trasmise i suoi diritti al figlio secondogenito Martino, duca di Exerica, come Vicario, purchè costui alla sua volta ne investisse il proprio figlio anch’esso di nome Martino. Poiché l’erede del trono di Aragona, Giovanni, non aveva maschi, la corona sarebbe passata a Martino, e da costui sul figlio, che così sarebbe divenuto re d’Aragona e di Sicilia.

L’assedio stretto da Artale aveva ridotto Agosta agli estremi per la fame, e non era lontana la resa, quando a Siracusa approdava un’armatetta calatana, proveniente dalla Morea, che saputo come stavan le cose, s’affrettò ad aumentare il suo naviglio, e così rafforzato, ricomparve in Sicilia nell’agosto del 1382. Allora Artale, temendo di veder prese le sue navi, tolse il blocco e si ritirò in Catania, mentre Ruggero Moncada e la Regina si imbarcavano nelle navi catalane, e ricoveravano a Cagliari, che era venuta in potere degli Aragonesi. Lasciata Maria in quel castello, il Moncada correva a Barcellona.

Il duca Martino si dava allora a carezzare i Vicari con lettere, annunziava la sua venuta con la regina Maria, e intanto raccoglieva denari, galere e cavalieri desiderosi di farsi uno stato: ma discordie scoppiate in Aragona fra il re Pietro e il primogenito Giovanni, che Martino dovette sedare, ritardarono il viaggio. I Vicari e gran parte del baronaggio respirarono e ne approfittò Manfredi Chiaramonte, che per le seconde nozze si imparentava coi Ventimiglia, e dando una figlia a Nicolò Peralta, figlio del Vicario, stringeva legami con costui, e acquistava nuova potenza: e, andato a conquistare l’isola delle Gerbe nell’agosto del 1388, ne ottenne dal Papa l’investitura. L’anno dopo, accoglieva la domanda della Regina di Napoli, vedova di Carlo di Durazzo, e tutrice del quindicenne Ladislao, che chiedeva per costui la mano di Costanza, figlia di Manfredi, la quale con gran seguito, grandi ricchezze e quattro galere andò a Gaeta ove si celebrarono le nozze. Indi le galere di Manfredi liberarono il Castello dell’Ovo, e il Chiaramonte poteva ben dirsi il più alto e possente barone di Sicilia.

In questo tempo, composti i dissensi in Aragona per opera di Martino, che in premio ebbe il titolo di duca di Montblanc, Maria fu da Cagliari trasportata a Barcellona, e poi nel castello di Montblanc, in attesa delle nozze, che avvenivano nel 1390 appena uscito il figlio Martino dalla pubertà. Di queste nozze dava avviso ai principi e in Sicilia, promettendo il suo non lontano arrivo. Ad agevolarlo, il destino s’incaricava di sgomberargli il terreno. Morivano infatti il conte di Geraci e Artale Alagona, e non molto dopo Manfredi Chiaramonte; il vicariato passava ai figli Antonio Ventimiglia, Blasco Alagona, Andrea Chiaramonte, e degli antichi vicari rimaneva il Peralta. Dinanzi alla minaccia dell’invasione, il 10 luglio 1391, i vicari radunarono a convegno i principali baroni nella chiesa di S. Pietro a Castronovo; giurarono alleanza per procurare l’onore e il servizio della regina Maria, la sua restituzione nel regno, e per respingere qualsiasi principe ed esercito straniero. Uno strambotto popolare serba la memoria del convegno, che cominciato con tanto fervore, finiva dimenticando i patti.

Astuto, raggiratore, fine politico, il duca di Montblanc mandava lettere a questo e a quel barone, in segretezza, con profferte di amicizia, lusinghe, persuasioni: inviava Galdo di Queralt e Berengario Crujllas abili negoziatori e guadagnava consensi fra i borghesi agiati; seminava la corruzione nel baronaggio, e ne fomentava l’egoistico tornaconto. Disgregando il baronaggio, il duca non temeva più una resistenza pericolosa, perché il popolo non lo impensieriva: che non c’era popolo, ma torme di servi nei feudi, e masse senza più coscienza nelle città, che si tenevano estranee alle mene dei baroni.
 
 

Luigi Natoli: Il paggio della regina Bianca.
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