giovedì 17 novembre 2016

Luigi Natoli: Mastro Bertuchello. Quadro storico: il conte di Geraci e il potere dei Palizzi


Pietro II (figlio di Federigo d'Aragona) non ereditò nessuna delle virtù paterne; non fu guerriero, né legislatore, né reggitore. Vivendo il padre si lasciò dominare da Eleonora sua amadre e da Elisabetta di Carinzia sua moglie, salendo sul trono, da questo dominio passò sotto quello di Matteo Palizzi, figlio di quel Nicolò illustre per la difesa di Messina. Protetto dalle due regine, costui era divenuto familiare nella corte, si era insinuato nell’animo di Pietro, e vi aveva acquistato potere. Il Re, inaugurando il suo regno, lo fece conte di Novara e maestro razionale, fece Gran Cancelliere Damiano, fratello di lui, uomo di Chiesa, più dotto, più abile di Matteo, però meno ambizioso, volitivo, avido, violento e senza scrupoli. Essi ripresero i disegni di Maione (26), e divenuti i consiglieri del Re, ne fecero il loro strumento, ma gettarono il regno nella miseria e nella guerra civile e fecero perfino richiamare dall’esilio Giovanni Chiaramonte. Allora Francesco Ventimiglia lasciò la corte, dove copriva l’ufficio di Gran Camerario, e si ritirò nei suoi vasti feudi. La qual cosa i Palizzi spiegarono al Re come segno di ostilità, e lo spinsero ad invitarlo a Catania pel Parlamento. Il Ventimiglia, per tre volte non si arrese all’invito, e mandò invece a Catania il suo primogenito Franceschello, ma il re lo fece imprigionare. Il conte Francesco allora si ribellò; diciotto terre sue vassalle lo seguirono, e con esse i feudi di Federico d’Antiochia. Il Re convocò la Magna Curia, di cui faceva parte Matteo, la quale il 30 dicembre del 1337 condannò il conte di Geraci per tradimento. Mosse allora il Re, coi Palizzi, e con forte schiere contro il conte, il quale, abbandonato da molte delle sue terre, si fortificò nella rocca di Geraci. Era per convincersi ad aprire le porte al Re, purché i Palizzi non fossero entrati, quando il vescovo di Cefalù, fra Roberto Campolo, con fiere rampogne lo distolse: allora il conte, lacerata la lettera che aveva scritta, rimandò l’araldo regio. Il Re ordinò l’assalto e al conte, rimasto solo, non restò altro scampo che la fuga: ma inseguito dai cavalieri del re, spronando fieramente il cavallo, questo come impazzito precipitò da una rupe, sfracellando il conte. Tutta la famiglia del conte fu arrestata e mandata in vari castelli: scampò solo Arduino. Federico d’Antiochia si sottomise e se n’andò in esilio.
Di questa impresa Pietro celebrò esagerato trionfo in Catania, pretaratogli dai Palizzi, che ebbero gran parte dei beni confiscati ai Ventimiglia.
 
Luigi Natoli - Latini e Catalani vol 1 - Mastro Bertuchello. 
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