venerdì 25 novembre 2016

Luigi Natoli: Il tesoro dei Ventimiglia. Quadro storico:La guerra civile fra Latini e Catalani


Matteo Palizzi sbarcò presso Messina, nel giugno del 1348; Blasco corso con ottocento lance non potè ricacciarlo, e la regina Elisabetta fingendo di seguirlo in Catania con Ludovico, andava a Patti dove Matteo la raggiungeva, col quale si accordò. Indi il Palizzi si recò a Palermo, accolto con feste dai Chiaramonte. Proposero di abbattere Blasco Alagona, e fare strage dei Catalani, approfittando dell’odio di razza per eccitare il popolo di Palermo. E al grido di viva Palizzi e Chiaramonte!  fu fatta strage degli stranieri. Il moto si estese a quasi tutto il Val di Mazzara. Inutile e tristo vespro novello! Intanto Matteo, e i Chiaramonte accozzato un esercito mossero per risollevare tutta l’Isola. Dovunque andassero, da Termini a Randazzo, le città si rendevano, i Catalani erano perseguitati, imprigionati, uccisi. I sopravissuti riparavano in Catania e Matteo Palizzi entrava da trionfatore in Messina, dove la Regina, gli diede in moglie Margherita, già aia di Ludovico, tedesca e vedova di un cavaliere di Santo Stefano.
Blasco dal canto suo provvedeva a difendersi, e chiamava i baroni catalani, coi quali accorrevano anche i Ventimiglia, Enrico Rosso e altri, nemici giurati del Palizzi; adunava milizie, altre ne assoldava che avevan nome “briganti”, e fortificava Catania. Per singolarità del caso, il Re stava dalla parte latina, che in vero ne teneva in non cale l’autorità, ma ne appariva tutrice; la parte catalana, che in realtà gli era fedele, appariva invece come ribelle. Già qualche avvisaglia preannunciava la guerra aperta; e temendone gli effetti, la Regina troppo tardi cercò di impedirla. Invano, Matteo mosse contro Catania, bruciandone le messi; ma per evitare i danni di un assedio, Blasco ordinò che si incontrasse in campo aperto. Presso la Gurna di Paternò in un luogo detto Fontana Rossa, i due eserciti vennero a battaglia, che fu aspra e feroce. E già la parte catalana, non reggendo all’urto si scompigliava, e la latina si disordinava per far bottino, quando Blasco piombò con la riserva che teneva appostata, e mutò la sconfitta in vittoria. Matteo dovetti ritirarsi con gli avanzi dei suoi a Lentini...
La guerra civile continuò con imprese da banditi, dall’una parte e dall’altra. Campagne devastate, città e borghi saccheggiati, rapine e stragi, tra le quali si logoravano, si esaurivano quelle forze, che avrebbero dovuto serbarsi alla salute della patria. Privati rancori e insane ambizioni insanguinavano le città. Un certo Lorenzo Murra, familiare dei Chiaramonte, poi crucciato contro di loro, tenne una congiura e vi attirò i Ventimiglia e Matteo Sclafano. Trovò aderenti e si fece nominare capitano del popolo che aizzò a uccisioni; poi all’annunzio di schiere chiara montane, tradì i compagni, fingendo aver tramato tutto per cogliere i Ventimiglia, che si salvarono con la fuga (gennaio 1351). A Licata un certo de Vilis, catalano, cacciato, chiamò Artale Alagona figlio di Blasco, che accorse e vi fece strage e rapina. Quelli invocarono Manfredi  Chiaramonte, che non giunto a tempo per fermare Artale, già in mare col bottino, lo fece assalire a Siracusa. Altri torbidi vi furono a Castrogiovanni, una ribellione di vassalli ad Assoro, contro Scalore degli Uberti, partigiano dei Palizzi, loro tiranno, che fu fatto a pezzi dai villani. Scorrerie per terra, piraterie per mare; non v’era più governo, non Parlamento. L’ombra sinistra della malcelata ambizione di Matteo Palizzi si proiettava sulla Sicilia. Il povero Re, astutamente gittato da lui fra i piaceri, logorava la malferma giovinezza; e, mentre Matteo arricchiva, egli era costretto a pegnorare fin le gemme della corona....
 
 
 
Luigi Natoli: Il tesoro dei Ventimiglia - Latini e Catalani vol. II.
Quadro storico tratto da: Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo inserito al termine del romanzo nella edizione I Buoni Cugini Editori.

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