martedì 20 settembre 2016

Luigi Natoli: Rivendicazioni. - Da un articolo del Giornale di Sicilia del 15 gennaio 1901.


Noi abbiamo avuto il grandissimo torto di dimenticare la nostra storia, come se di essa avessimo da vergognarci. Prima del 1860 troppo esclusivisti, e, forse ciechi strumenti di vedute politiche, restringevamo ogni cultura storica alla Sicilia; dopo il ’60, per riazione contro il passato, cancellammo la Sicilia dai paesi che hanno una storia.
Perché? Per un malinteso principio di unitarismo. Noi – si disse con la solita esagerazione impetuosa meridionale – dobbiamo essere italiani: né siciliani, né napoletani, né toscani; tutti una sola famiglia!
Avemmo paura di una parola che parve coniata a posta per paralizzare ogni nostra iniziativa: il regionalismo; e questa paura ci fece confondere le aspirazioni dei separatisti col sentimento della nostra personalità storica; e per respingere l’accusa dei separatisti e reazionarii, che le combriccole affariste allobroghe, longobardiche ed etrusche ci gittavano in faccia, tutte le volte che avevano bisogno dei nostri danari, per farsi le ferrovie, i canali, le strade ecc. ecc. – per respingere questa accusa tendenziosa, ci sforzammo di distruggere quel sentimento della personalità, che piemontesi, lombardi, toscani han sempre conservato, e fatto anche pesare, pur mantenendosi politicamente unitari.

Dimenticammo così la nostra storia: e, gli studiosi nostri, che hanno consacrato e consacrano il loro tempo a illustrare, rinnovare la nostra storia, giudicammo e giudichiamo come dei fossili; le loro opere, ricercate e apprezzate fuori dall’Italia, abbiamo guardato e guardiamo con un disdegno e una superiorità tanto maggiori, quanto più profonda è la nostra ignoranza. Io vorrei sapere quanti fra noi oggi conoscono le opere del Gregorio; quanti hanno letto le monografie del La Lumia, le storie dell’Amari; quanti conoscono le pubblicazioni della Società di Storia Patria. Che maraviglia, se dal momento che noi pei primi diamo l’indecente spettacolo della nostra ignoranza e abbiamo tanto poco rispetto delle cose nostre, le ignorino e non ne abbiano nessuna stima i connazionali della penisola? Come pretenderemmo, per esempio, che in quel Pincio che a Roma è come il Famedio dell’Italia, siano ricordati i siciliani illustri, se i Consiglieri comunali di Palermo ridono allegramente all’udir proporre il battesimo di una strada col nome di un siciliano glorioso?
Come pretendere che nel Campidoglio, fra’ busti dei grandi maestri di musica sia compreso quello di Vincenzo Bellini, se in Sicilia, e l’ho sentito io, per la smania di scimmiottare, c’è chi bestemmia che il grande catanese è un musicista da barbieri? Come pretendere, che un professore di storia moderna d’una università d’Italia in un libro edito per cura della Società Dante Alighieri, non scriva spropositi di storia siciliana da far arrossire le statue della fontana pretoria, se un siciliano, che ha reputazione di colto, ed è uomo politico a Milano è andato a predicare che noi siamo quasi i beoti d’Italia? Come pretendere che in quel ciclo di conferenze fiorentine che avrebbero dovuto esprimere la vita politica e intellettuale di tutta l’Italia, si parli della Sicilia, se a Palermo non è stato mai possibile organizzare un circolo di conferenze sulla Vita Siciliana, e se della nostra storia non abbiamo nessun culto?
 
E c’è anche peggio: c’è che quando si è voluto dar saggio di conoscere la storia, non soltanto si son commessi spropositi madornali, ma si è perfino fatta ingiuria alla nostra dignità, si è dato uno schiaffo al nostro orgoglio cittadino, decretando testimonianze onorevoli a chi ci calunniò per malanimo, in sue storie, dopo averci offeso e calpestato con la prepotenza delle armi!
Ora mi par che sia tempo far conoscere noi a noi stessi; perché ci conoscan meglio gli altri; imparare a stimarci, perché gli altri ci stimino; mostrare quel che fummo, quel che facemmo, perché non ci si tratti più da popolo barbaro e conquistato. Mi par che sia tempo di far conoscere che la Sicilia ha dato al mondo qualcosa di più, e di più alto, e di più nobile, che non quella mafia voluta e reggimentata dai governi dal 1860 in poi, e che è la sola cosa che noi sciagurati, ed i continentali, ingiusti, facciamo conoscere.
Luigi Natoli - Maurus
Tratto da un articolo del Giornale di Sicilia del 15 gennaio 1901
Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana del 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano.
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