mercoledì 29 giugno 2016

Luigi Natoli e la Palermo nel 1515: Squarcialupo


La città di Palermo nel 1515, sebbene nella periferia avesse preso la forma che su per giù conservò intatta, entro la cerchia delle mura esterne fino al 1860, non aveva internamente la distribuzione topografica che venne assumendo nel corso del secolo, e che nel 600 ebbe compiutezza e stabilità. Questa cerchia – in qualche punto visibile ancora – è riconoscibile in quella serie di stradoni che la costeggiavano e ne furono la via di circonvallazione: la quale partendo dalla spiaggia, per le odierne via Lincoln, Tukery, Alberto Amedeo, e piegando per le vie Volturno e Cavour va a finire là dove era il Castello a mare. Internamente non c'era ancora la via Maqueda; e la parte più antica della città nel mezzo, era la vera Panormus e conservava la sua cinta di mura antiche e le sue porte e le sue torri, come una città dentro la città, oramai inutili, qua e là rotte e tramutate in abitazioni. La strada che negli atti ufficiali e nella cronaca aveva nome di via Marmorea giungeva fino alla chiesa di Sant'Antonio, all'angolo della recente via Roma, dove era una torre, che gli eruditi di quel tempo attribuivano a un nipote di Noè, e una porta, che una volta dava sul mare, e i musulmani chiamarono infatti Porta di mare. Ma il mare che in tempi remoti giungeva fino a questo punto, vasta insenatura, chiusa a oriente da uno sprone – ancora visibile – sulla cui estremità sorse poi la chiesa della Catena, si era a poco a poco ritirato, o era stato disseccato: si era ristretto poi in quell'area che formò appresso la piazza Marittima, oggi Marina, e finalmente si restrinse nella Cala.
Nel 1515 su tutta questa nuova aria correvano strade e stradette, sorgevano chiese e palazzi, che furono anni dopo abbattuti o tagliati, quando distrutta la torre e la porta, il vicerè don Garsia de Toledo volle che si prolungasse la via Marmorea fino alla chiesa di Porto Salvo; e le diede il suo nome.
La via Marmorea dunque era né più né meno che l'attuale via Vittorio Emanuele. E se si pensa, che essa era la via principale dell'antica Panormus, si deve riconoscere come una delle più antiche strade cittadine del mondo, rimasta quasi intatta là dove fu tracciata forse dai Fenici, certo ai tempi greco-romani.
Era fiancheggiata di palazzi magnifici, che conservavano l'aspetto di castelli con merli e torri, e di ricche botteghe; lastricata di pietre, levigate; bella e sontuosa, destava la maraviglia dei forestieri.
Quasi parallelamente a essa correvano altre due strade, di qua e di là, lungo le mura antiche: specie di boulevards; che finivano anch'esse col congiungersi, a Sant'Antonio, con la via Marmorea. Una di queste strade, partendo dall'alto, – dove ora è la Caserma, costeggiando l'episcopio e la cattedrale, percorreva la strada, che anche allora si chiamava del Celso; la quale si continuava con norme di via di porto Oscura, San Teodoro degli Scannati, S. Antonio, ininterrottamente. Tre porte, antiche anch'esse, mettevano in comunicazione questa strada, anzi questa parte della città, con quartieri che erano sorti nelle bassure, dove in tempi remoti si prolungava la palude del Papireto: ed erano la porta di Sant'Agata, – presso la chiesa omonima, la porta degli Schiavi – in via Celso – e la porta Oscura, – a Bab as Sapa degli arabi – detta Oscura forse perché vi si giungeva per un andito lunghetto e buio. Essa dalla piazza delle Vergini, metteva sul principio della odierna Piazza Nuova; e chi scende dalla via Maqueda nella piazza, guardi nelle botteghe a destra, e fatti pochi passi vedrà dentro una di esse un mezzo arco sepolto fra le costruzioni posteriori. È quel che resta della porta.
Ora siccome il suo sbocco rimaneva più in basso dal livello della piazza delle Vergini, una specie di scalinata percorreva gran parte dell'andito, sul quale si apriva qualche stanza o stamberga, che forse un tempo serviva di alloggio alle guardie. Una, in alto, scavata nel tufo, male intonacata, nera di fuligine, si era trasformata in bottega e in abitazione....
Luigi Natoli - Squarcialupo.
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