lunedì 28 settembre 2015

Luigi Natoli nel romanzo L'Abate Meli: le catacombe dei Cappuccini di Palermo.

Il convento piccolo e all'aspetto po­vero, si mostrava aderente alla chiesa; alto due piani, con le finestrelle picco­le; e sovrastava alle famose sepolture o catacombe, ove i cadaveri, ridotti in scheletri vestiti di sacco o di roboni, stanno schierati in più ordini. Spetta­colo triste e nel contempo riprovevole e ridicolo dell'uomo, in atteggiamenti, che tolgono all'onestà della morte ogni grandezza ed ogni profondità di mistero. Ma in quei tempi, pareva ren­dere ai vivi l'orrore della vita, con lo spettacolo orrendo di quel che diverremo: ossa e null’altro. L'illusione che sotto la pietra e dentro la bara, il cor­po rimanga intatto, si distrugge; le os­sa sono tutte simili e noi non ricono­sciamo le fattezze amate nei sogghigni dei teschi.
Luigi Natoli

Luigi Natoli nel romanzo L'Abate Meli: la festa della Madonna Assunta ai Cappuccini di Palermo il 15 agosto.


Era il pomeriggio. La via era affolla­ta di gente, perché era la vigilia dell'As­sunta, festa solenne dei Cappuccini. Gente che andava e gente che veniva: un viavai continuo: portantine di tutti i colori e carrozze padronali, carretti, pedoni; questi in maggior numero, uo­mini in giamberga e in giacca, donne col manto chiuso nel naso, lasciando liberi gli occhi neri e fulgidi; ragazzi che empivano la strada dei loro cicalec­ci; venditori di acqua, che la portava­no sul fianco, coi bicchieri infilati in un ordegno di ferro; o di semi di zuc­ca, o di ceci abbrustoliti: tutta gente che vociava, nel lungo tratto di strada.
Allo svolto della strada che condu­ceva ai Cappuccini, la folla era più fitta. Delle baracche cucinavano, delle altre facevano focaccie, qui una tenda vendeva dolciumi, lì una tavoletta esponeva Madonne di argilla, coricate con le mani stese ed aperte, vestite di bianco col manto azzurro; grandi e pic­cole; più in qua l'«incatena corone», torcendo i fili di ottone intorno ai gra­ni del rosario; e fra tutti, le piccole ba­re, con madonne di cera, illuminate, portate da quattro ragazzi che gridava­no con le vocine squillanti: «viva Ma­ria». Ma su tutto ondeggiava un odore di fritto, tra il fumo delle padelle, nel­le cucine improvvisate.
Fra questa folla varia e multiforme andava il Meli discorrendo col giova­ne che gli camminava a fianco.
Chiacchierando così, e scansando il continuo andirivieni, erano giunti al convento. La folla era più fitta e biso­gnava fermarsi. Dalla croce di legno, alta sopra uno zoccolo, fino a quella specie di portico pieno zeppo di... mi­racoli o «ex voto», dipinti da pittori da strapazzo, la gente si ammassava. La chiesa era piccola e non c'entrava tut­ta; gran parte sostava. Un frate racco­glieva l'elemosina.
Eppure in quel viavai di gente alle­gra, in mezzo a quel cicaleccio, a quel­le grida continue, nel convento un uo­mo moriva. E aspettava con l'ansia di chi teme di non fare in tempo.
Il Meli attraversò il portico dinanzi la chiesetta, piegò la testa, vedendo nella navata l'immagine della Madon­na, coricata fra le candele accese; e salì le scale del convento.
Nella foto: La Madonna Assunta che si venera nella chiesa di S. Maria della Pace (Cappuccini) di Palermo.

Luigi Natoli nel romanzo: L'Abate Meli. - Riflessione del poeta sulla sua "genialità" durante il frugale pranzo.

"Questa acciuga è ottima, e ac­compagnata dal pane è squisita, non c'è che dire. Però, mi piacerebbe di più se avessi una credenza o un riposti­glio, dal quale potrei prendere un bel pezzo di caccia. La quistione è che io sono un poeta, e perciò vivo quasi nella miseria: “Pictores, sculptores et cantores” con quel che segue. Vero è che mi danno del genio, ma preferirei che me lo mutassero in danari. Col genio non si vive. Per esempio, ho una sorella pazza che mi lascia senza desinare. Bene. Apro il ripostiglio e prendo un altro desinare, dai maccheroni alla frutta, senza tralasciare gli intingoli e i “piattini”... Quei domenicani hanno festeggiato il loro nuovo provinciale con un banchetto di ventiquattro piatti, settanta piattini, oltre i gelati e la frutta... Non dico che questo mi sarebbe piaciuto e toccato, ma... Il genio!... Se mi dessero l’equivalente, io non patirei tanto..."
 
Beatu iddu chi campa sfacinnatu
Comu l’antichi, e cu li propri soi
Si cultiva lu campu ereditatu...

“Io non ebbi nemmeno questo: la casa che acquistò mio padre, buon’anima!

E passa in libertà li jorna soi
tranquillu, senza debiti, né pisi,
senza suggizioni e senza noi!... (*)
“Ah! un vivere sì beato! Che ci vorrebbe? Una bella e buona abazia, che mi fornisca tanto da vivere come gli antichi. Invece, ho da fare il medico! E debbo insegnare la chimica ai giovani! La medicina e la chimica non sono amiche delle Muse...
 
(*) Beato chi campa sfaccendato - (Meli non intende chi non fatica ma chi non ha il peso degli obblighi derivanti dallo stare in società) - come gli antichi, e con i propri soldi - Si coltiva il campo ereditato...
E passa in libertà i suoi giorni - tranquillo, senza debiti, né pesi, senza soggezioni e senza noie...
 
Luigi Natoli
www.ibuonicuginieditori.it

Luigi Natoli: elaborazione del pensiero del Meli tratto da "Giovanni Meli - Studio critico" pubblicato nel volume L'Abate Meli edito I Buoni Cugini Editori.


“Saggio è colui che parla poco e opera molto e bene; e che si è educato alla scuola dell’esperienza, dello studio, delle avversità; chi non insuperbisce di sé stesso, chi non mente, chi ama e si lascia amare, chi gode e lascia godere; chi non attuffa la vita nella malinconia o nella bile; chi insomma ubbidisce ai sacri dettami della natura e a quella conforma la sua vita.

“Saggio è infine chi più di ogni altro bene apprezza la pace, e tutto fa per conquistarla: poiché nella pace dell’animo è la felicità della vita, e per la pace, tu puoi gustare le gioie continue che la vita alimentano”.
 
 
Luigi Natoli - "Giovanni Meli - Studio critico"

venerdì 25 settembre 2015

Luigi Natoli: prefazione dell'autore di "Giovanni Meli studio critico" inserito nel volume L'Abate Meli.


Se qualcuno avesse voglia di scrivere una biografia melica, troverebbe innanzi a sé un numero considerevole di critici e letterati abbastanza conosciuti che fan testimonianza di quanto studio sia meritevole questo nostro poeta. Ma si accorgerebbe ancora che nessuno di tanti critici ha pensato di esaminare il Meli da quel lato onde è meritamente grande: chè ognuno o partendosi da preconcetti, o rimanendo a la esteriorità de le poesie, o togliendo a esaminare alcuna de le doti de la forma, non è penetrato a scoprire quel che ci sia sotto al sorriso bacchico di questo nuovo pagano, e donde provenga questo sorriso.

Lo stesso De Sanctis, ne la sua conferenza guarda il Meli ne la sola Fata Galanti, componimento giovanile che manca di quella maturità filosofica, o meglio scientifica, che domina le Bucoliche e le Odi.

Ma per conoscere il Meli non basta nemmeno leggere tutte le poesie; Egli non ci rivela che una parte di sé stesso. Si vuol leggere anche le lettere in parte inedite, i numerosi manoscritti, il suo lavoro scientifico su la Natura, tutti quei pezzi di carta, che paiono insignificanti, ma che contengono un pensiero, un’idea, una parola del grande poeta, pensiero, idea, parola che illustrano, che finiscono quanto si contiene nelle poesie.

Tutto questo tesoro di documenti esiste ne la Biblioteca Comunale di Palermo in diciotto volumi, eredità preziosa, che ci narra tutta la vita del Meli; vita che pare un sorriso perpetuo ed è una lotta sanguinosa.

Lo studio critico che io affido per le stampe si ingegna di presentare il Meli dal suo vero aspetto; e perché quel che verrò dicendo non paia gratuita affermazione, ho illustrato il mio lavoro con l’aiuto dei manoscritti. E qui, poiché mi si potrebbero muovere degli appunti, m’affretto a dichiarare che io non ho inteso né di scrivere una vita, né di illustrare i tempi del poeta; ma semplicemente e puramente di esaminare nel modo più completo donde e come proceda l’arte sua, perché egli indipendentemente dal suo genio poetico sia sempre una grande figura de la nostra istoria letteraria, perché egli sia grande non solo come poeta ma come scienziato.

Forse a tanto non sarò pervenuto; che le molestie e le cure affannose de la mia vita han turbato sovente quella serenità d’animo necessaria al critico; ma ho fede, se non altro, che questo mio studio scuota un po’ i letterati di Sicilia, perché ci arricchiscano e presto di un lavoro più completo e più finito. Lavoro, a cui da un pezzo io avevo messo mano, ma al quale non ho potuto più attendere, costretto come sono a un’arida e pesante fatica che mi dia il pane cotidiano.

Ed ora non mi rimane che salutare il mio libretto, e augurargli che il ceto dei critici sia con lui meno arcigno e anche... ho a dirla? Meno partigiano.

Palermo, Novembre 1882.

Luigi Natoli (Maurus)

Tratto da: Giovanni Meli studio critico pubblicato nell'anno 1883 dalla tipografia del giornale Il Tempo e pubblicato per la prima volta in unico volume al romanzo L'Abate Meli da I Buoni Cugini Editori.

Luigi Natoli: dedica dell'autore alla madre ne "Giovanni Meli studio critico" - 1883 - inserito nel volume L'Abate Meli edito I Buoni Cugini Editori.


 
 
SUL TUO SEPOLCRO
O MADRE MIA
BENEDICENDO A LA TUA MEMORIA
DEPONGO QUESTO LIBRO.
 CHE ALTRO POSS’IO OFFERIRE
A L’OMBRA TUA SACRA
DI PIU’ CARO
CHE QUEGLI STUDI CUI TU M’ANIMAVI
FORTE E SORRIDENTE
NE LE TEMPESTE DE LA VITA?
 
Luigi Natoli
 
 
Tratto da: Giovanni Meli Studio critico - pubblicato dalla tipografia del giornale “Il tempo” - Anno 1883 e inserito nel volume "L'Abate Meli" edito I Buoni Cugini Editori.

 

martedì 15 settembre 2015

Luigi Natoli nel romanzo "L'Abate Meli": nota introduttiva di Francesco Zaffuto.


La scelta di inserire in un solo volume il romanzo di Luigi Natoli “L’Abate Meli” e il saggio critico di Natoli su Giovanni Meli permette di prendere visione di due opere che si completano a vicenda. 

 La cultura distratta e di moda del secondo Novecento non ha saputo riconoscere il patrimonio letterario lasciato da Natoli ed ha dimenticato uno dei più grandi poeti della letteratura italiana, relegandolo al ruolo di poeta dialettale. Meli viene conosciuto per qualche aneddoto mal raccontato, per qualche poesia che simpaticamente si recita per il tono allusivo,  e per l’essere il poeta dell’Arcadia (un  mondo poetico considerato ormai lontanissimo). 

 La scelta di Meli di operare in siciliano è simile, per molti aspetti, a quella fatta da Gioacchino Belli con il romanesco. Il Belli costruì un monumento al popolo romano e si servì del romanesco per mettere in bocca al popolo un buon senso in cui si specchiava la ragione illuminista. Per Meli la scelta di scrivere in siciliano fu una liberazione dal convenzionalismo accademico, un ritorno alla freschezza dell’impressione e dell’espressione; a volte parlano personaggi mitologici, a volte gli animali, a volte lo stesso Poeta, ma il linguaggio ritimico del suo siciliano è scelto per evidenziare  la schiettezza della ragione illuminista. La stessa scelta fu operata in Lombardia da Carlo Porta (1775-1821) che visse in un periodo storico vicino a quello del poeta siciliano.

  Il romanzo di Natoli  “L’Abate Meli”  venne pubblicato a puntate dal Giornale di Sicilia a partire dal  16 settembre 1929 e questa edizione dei Buoni Cugini Editori fa  riferimento ai testi originali di quella pubblicazione. 

 Non è un romanzo biografico sul poeta siciliano,  è un particolare intreccio narrativo per evidenziare la poetica e la filosofia del Meli.  Il romanzo scorre su due binari: quello di un’ intricata vicenda avventurosa e amorosa dove i buoni sono perseguitati ingiustamente; e quello della vita del poeta Giovanni Meli che interviene in aiuto solidale per dovere e simpatia. Il Meli è il protagonista indiretto,  interviene con la sua fama, con le sue poesie e con i pochi denari a sua disposizione in aiuto di individui che sarebbero travolti dagli eventi. Alcuni episodi documentati della vita di Meli, come: la sorella pazza, il furto subito, le sue ristrettezze economiche, vengono intrecciate con le altre vicende del romanzo.

 Nella costruzione del romanzo Natoli mantiene una netta dicotomia tra il male e il bene come se fossero due entità mitologiche che si confrontano: da una parte Don Bartolo che riassume tutto l’assurdo del male capace di generarsi nella specie, che si caratterizza per l’attaccamento al denaro, vive nella falsa coscienza dell’onore, con ottusità,  senza pensiero, con eccessi di ira, ed arriva fino al delitto; dall’altra parte il Meli che si caratterizza per l’empatia, la gratuità,  che si rivolge al pensiero e alla ragione, e vuole coniugare il dovere con l’amore.  Meli è l’astro dell’illuminismo in Sicilia, mentre scorre la barbarie della storia,  un astro povero, armato solo dei suoi versi. 

 Spesso Natoli nel suo romanzo, all’interno delle vicende,  cita le poesie del Meli che diventano il filo conduttore in diversi momenti narrativi, e la poesia che esprime il profilo etico del poeta è la Pace.   Il senso della pace che percorre Meli non può prescindere dal senso della giustizia ed è un tutt’uno con questa.

 Meli non fu mai ricco e spesso le difficoltà lo costrinsero, come Giuseppe Parini, a bussare alla porta dei potenti;  Natoli lo descrive in questo bussare ai potenti anche per aiutare gli altri. Usa la sua poesia per penetrare nel cuore degli uomini e conoscendo il cuore delle donne,  come terreno più adatto ai sentimenti,  non manca di dedicare versi alla bellezza e al cuore di una dama  per cercare un aiuto per i suoi protetti.

 Natoli  nel romanzo ci presenta l’Abate Meli a 50 anni: vestito sempre con l’abito scuro di religioso, ma in realtà poeta,  scienziato e medico; soprattutto poeta.

 Sul titolo di Abate di Meli,  Natoli nel secondo capitolo così narra: “Vestiva di nero, alla guisa degli abati ed infatti lo chiamavano “l’abate Meli”. Ma non lo era, anzi non era neppure chierico, né aveva i quattro ordini e la tonsura, che prese l’ultimo anno della sua vita per ottenere l’abazia che non ottenne. Era semplicemente il “dottor Meli”, e si vestiva da abate per avere libero accesso nei monasteri …” . Da questo passo si desume che  Natoli, nel suo romanzo del 1929, continua a sposare la tesi biografica di A. Gallo che affermava che il poeta prese gli ordini nell’ultimo anno di vita.  Tesi confutata dalla ricerca storica di Edoardo Alfano che, con il suo  studio pubblicato nel 1914, dimostrava la totale assenza di menzione sulla presa degli ordini di Meli nei i documenti degli archivi della chiesa palermitana.

 Certo fu lo stesso Meli che affermò in un suo memoriale poetico  di aver preso gli ordini; nel settembre del 1815 inviò al duca d’Ascoli il memoriale affinché lo presentasse al Re per perorare l’affidamento di un’abazia in Palermo. In questo memoriale in versi intitolato “Siri” si possono leggere questi versi:

…..Prezzi e bisogni criscinu, e mancanti

Su l’introiti, e addossu nun si trova

Chi lu vacanti titulu d’abbati,

      Chi impignari ‘un po’ pi pani e ova,

Si supra na cummenna la bontà

Di Vostra Maestà non ci lu nchiova.

       Iddu è già preti chiù di la mità:

La tunsura e quatt’ordini ingastati

Dintra di l’arma si li trova già.  ….

(Prezzi e bisogni crescono, e mancanti/ sono gli introiti, e addosso non si trova/che il vuoto titolo d’abbate/ che non può utilizzare per il pane e le uova, / se sopra una commenda la bontà / di Vostra Maestà non ce l’appende. /Lui è già prete per più della metà: / la tonsura e quattro ordini incastonati/dentro nell’anima se li trova già.

 G.A. Cesareo, nella sua biografia su Meli (1924 “La vita e l’arte di Giovanni Meli”), parla di “bugiola” diffusa dallo stesso poeta e così la spiega: “Certo, la nomina non sarebbe stata improvvisa; qualche sentore n’avrebbe egli avuto anche prima: se fosse necessario, sarebbe sempre stato in tempo per mettersi in regola. Ma prendere gli ordini sacri quando ancora non aveva alcuna fondata speranza di conseguire il suo intento, e mentre tutti in Palermo riconoscevano che viveva in concubinato con una vedova dalla quale aveva avuto figlioli, gli doveva saper male. E non lo fece. …”

 Non sappiamo perché Natoli, scrittore e storico attento, preferisce parlare di  voti presi l’ultimo anno della sua vita, mantenendo la tesi del Gallo, comunque sono fatti successivi al periodo di tempo narrato nel romanzo e Natoli ben descrive un Meli sensibile al fascino femminile e alle pulsioni della vita. La “cicala” Meli non rinunciò alla vita e a tutti gli aspetti della sua bellezza, volle vivere e poetare, nella sobrietà, nella pace e nella giustizia;  e se Meli dice che  dintra di l’arma” (dentro la sua anima) è Abate, non dice una bugia, se si considera il suo rigore morale e il profondo senso di cristianità che è riuscito a legare con il suo pensiero illuminista.

  Meli  portò quel modesto abito scuro che era comune ai medici e agli abati, esercitò la sua attività di medico per 5 anni  a Cinisi in provincia di Palermo (e forse quell’appellativo di Abate iniziarono a darglielo in quel paese);   a Palermo continuò a portare quell’abito scuro e modesto che lo distingueva dagli uomini della sua epoca (fine settecento) che si ornavano di parrucche,  merletti e calze di seta; Natoli nel descriverlo in una sala di nobili, avvolto nel suo abito scuro,  dice che pareva un calabrone in mezzo a tanti fiori; nello spettro dei colori rovesciato della coscienza Meli diventava il fiore più luminoso in mezzo a tante ombre.

  Lo Studio critico dedicato a Giovanni Meli, pubblicato nel 1883, Natoli lo scrisse quando aveva appena 26 anni.  Studio prezioso per la conoscenza delle opere e per l’attenta documentazione, può essere utile a chi non conosce il poeta siciliano e anche a chi lo conosce in profondità. E’ uno studio condotto a tutto campo, che va dalle opere maggiori fino agli inediti e alle lettere del Meli. Presenta il grande poeta siciliano nella sua centralità filosofica e letteraria e lo libera dal luogo comune di solo rappresentante dell’Arcadia, prendendo le distanze anche da esponenti della critica letteraria del calibro di De Sanctis.

 Meli fu arcade se si guarda al suo repertorio metrico, ai riferimenti alla tradizione classica,  allo sfondo agreste delle sue liriche;  ma per lo spirito  e per la sua impronta morale e filosofica fu un poeta ben più complesso. Natoli dimostra questa complessità  evidenziando l’opera  L’Origini di lu munnu”, dove la dissertazione di Meli spazia su tutte le teorie filosofiche.

 Nell’esaminare la “Bucolica” Natoli  coglie che in Meli  il centro è l’amore delle cose che scherza nella varietà, ne l’incostanza, nel disordine; e in quell’armonia dilettosa, che egli il poeta, formavasi nel suo cervello, nel sentirsi concorde ed uno con la natura”.

Colloca il Meli nel suo periodo storico;  Meli visse a Palermo in anni in cui si sentivano arrivare da lontano gli echi della Rivoluzione francese e  dopo quelli delle campagne napoleoniche, non fu investito direttamente da quegli eventi, inveì dalla lontana Sicilia contro gli eccessi della Rivoluzione francese e contro le sanguinose campagne napoleoniche; predicò la pace e prese il meglio di quell’epoca, il pensiero illuminista.

Nella parte finale del suo saggio Natoli cita la lettera di Meli al barone Refhuens dove parla delle sue aspirazioni di vita, del suo rapporto con la poesia, delle sue disgrazie, delle sue amarezze, del suo rigore: “nonostante, mercé di un parco vivere ho tirato avanti decorosamente, senza aver contratto mai un soldo di debito, e senza avere obbligo ad anima vivente della mia tenue sussistenza, salvo alle mie fatiche …”

 Oltre allo Studio critico e al romanzo, Natoli dedica un ampio spazio a Giovanni Meli nel suo trattato sulla poesia siciliana  Musa siciliana”, e per fare conoscere il poeta lo presenta con un insieme di poesie che caratterizzano tutte le sue espressioni poetiche: dalle Favole Morali alle Odi, dalle Elegie alla Bucolica, dagli Epigrammi ai Sonetti dedicati alla vita di Palermo,  aggiungendo stralci del Ditirammo e del Don Chisciotte. In questo volume sono state riprodotte in appendice tutte le poesie che Natoli scelse e inserì ne la “Musa siciliana”.

 Il Saggio critico, il romanzo “L’Abate Meli” e il  trattato “Musa siciliana”,  dimostrano come Natoli considerasse Meli  un grande poeta, filosofo e maestro di vita;  e questa poderosa pubblicazione, grazie a  I Buoni Cugini Editori,   può contribuire alla riscoperta di  un narratore e di un poeta che dovrebbero essere meglio conosciuti in tutta l’Italia e anche nella loro Sicilia.

04/06/2015  Francesco Zaffuto

 

Luigi Natoli nel romanzo "L'Abate Meli": pensiero del poeta.

“Saggio è colui che parla poco e opera molto e bene; e che si è educato alla scuola dell’esperienza, dello studio, delle avversità; chi non insuperbisce di sé stesso, chi non mente, chi ama e si lascia amare, chi gode e lascia godere; chi non attuffa la vita nella malinconia o nella bile; chi insomma ubbidisce ai sacri dettami della natura e a quella conforma la sua vita.
“Saggio è infine chi più di ogni altro bene apprezza la pace, e tutto fa per conquistarla: poiché nella pace dell’animo è la felicità della vita, e per la pace, tu puoi gustare le gioie continue che la vita alimentano”.
Giovanni Meli
 

Luigi Natoli nel romanzo L'Abate Meli: presentazione del poeta.

Don Giovanni Meli, se ne stava nel suo studio mode­stamente arredato scartabellando un volume di medicina per una consulta che doveva fare. Era medico.
In quel tempo abitava una casa die­tro il coro della Chiesa dell'Olivella, casa modesta, dove erano vissuti suo padre, sua madre, due zie che erano morti, e l'avevano lasciato con due fra­telli, Stefano e Tommaso che si era fat­to frate nei domenicani e una sorella pazza.
Giovanni era il dotto della fami­glia, e il suo nome era famoso in tut­ta la Sicilia, come quello di un gran poeta.
Era un uomo di circa 50 anni, di statura media, bruno di volto, coi ca­pelli quasi neri, con parecchi fili d'ar­gento tirati indietro e legati con un na­stro, gli occhi nerissimi, vivaci; un'aria modesta, non curante di sè, ma pulita. Vestiva di nero, alla guisa degli abati ed infatti lo chiamavano «l'abate Me­li». Ma non lo era, anzi non era nep­pure chierico, nè aveva i quattro ordi­ni e la tonsura, che prese l'ultimo an­no di sua vita per ottenere l'abazia che non ottenne. Era semplicemente il «dottor Meli», e si vestiva da abate per avere libero accesso nei monasteri, do­ve non si entrava, se non si appartene­va alla Chiesa, in un modo qualunque.
Di tanto in tanto in quella che scar­tabellava, guardava, pensando, nella parete, di contro, ove era una libreria con pochi volumi di medicina e molti di letteratura.
In quegli sguardi forse c'era un pen­siero medico, per la consulta che dove­va farsi, o piuttosto c'era un'immagine poetica che egli perseguiva, e che si frammezzava alla medicina?
Luigi Natoli
 
Nella foto: ricostruzione dello studio di Giovanni Meli con il mobilio originale presso il Museo di Storia Patria di Palermo

Appendice del volume "L'Abate Meli" di Luigi Natoli.


Questa appendice vuole dare ai lettori, che hanno difficoltà con il siciliano,  la possibilità di  comprendere agevolmente la poesia di Giovanni Meli con una traduzione letterale a fronte come guida.  Nell’ottocento ci sono state traduzioni poetiche delle poesie del Meli in italiano e si sono cimentati diversi pregevoli traduttori e poeti; molto bella anche la traduzione in dialetto veneto operata dal poeta Antonio Lamberti (1818).

 Qui non si è voluta proporre  una traduzione poetica in italiano, per l’evoluzione del linguaggio poetico moderno sarebbe stata difficile e artificiosa,  e non avrebbe prodotto lo stesso godimento del fraseggio poetico del siciliano di Meli. Si è scelta perciò una traduzione letterale delle parole come una guida. La maggior parte delle parole scelte dal Meli  sono ben comprensibili e nello stesso siciliano  se ne può cogliere la sonorità della rima;  il lettore dopo avere trovato il significato delle parole più astruse nella traduzione letterale,  può agevolmente ritornare sul testo in siciliano.  Questa guida può essere utile anche per tanti  siciliani che praticano poco il dialetto e che possono incontrare difficoltà con parole antiche e modi di dire caduti in disuso.  Qualche nota aggiuntiva è stata posta con un richiamo per i passi più controversi.  Sono stati evitati esegesi e commenti molto lunghi perché la poesia deve in qualche modo godersi senza eccessi di preordinate interpretazioni.

 Riguardo alla scelta delle poesie qui inserite non è stata facile per la vastità dell’opera di Meli, un oceano dove si rischia di abbondare con la pesca.  Considerato che questo volume riporta l’opera di Natoli su Meli,  sono state inserite  poesie che Natoli ha utilizzato nel romanzo “l’Abati Meli” e  tutte le poesie che scelse per il suo trattato sulla poesia siciliana “Musa siciliana”; più qualche altra poesia dove il messaggio di Meli pare descrivere i nostri giorni.

Per quanto riguarda i testi in siciliano del Meli si è fatto  riferimento:  alla Edizione Interollo – Palermo  del 1814 -  curata dallo stesso Autore; e alla Edizione curata da Edoardo Alfano del 1914 – Ed. Piazza – Palermo.

Per la traduzione letterale delle parole più oscure si è fatto riferimento: alle note dell’edizione del 1814;  al dizionario delle voci oscure che l’editore Roberti di Palermo inserì in calce alla edizione delle poesie di Meli del 1838;  in qualche caso al dizionario del Mortillaro; per le poesie inserite ne la “Musa siciliana” alle stesse note di Luigi Natoli.

Francesco Zaffuto

 Elenco delle poesie di Meli inserite in questa appendice

Cinque brani poetici che caratterizzarono la vita e il pensiero di Meli

La pace  (inserita nel romanzo di Natoli “L’Abati Meli”)

La cicala (inserita nel trattato di Natoli “Musa siciliana”)

La fortuna

Lu chiantu d’Eraclito(inserita nel trattato di Natoli “Musa siciliana”)

A Dio (inserita nel trattato di Natoli “Musa siciliana”)

Dalle Favole morali

Li surci  (inserita nel trattato di Natoli “Musa siciliana”)

Li babbaluci  (inserita nel trattato di Natoli “Musa siciliana”)

Li granci

L’aquila e lu riiddu

L’allianza di li cani

Li crasti

Odi all’amore e alla bellezza

L’occhi (inserita nel trattato di Natoli “Musa siciliana”)

La vucca  (inserita nel romanzo di Natoli “L’Abati Meli”)

Lu labbru (inserita nel trattato di Natoli “Musa siciliana”)

Li capiddi  (inserita nel romanzo di Natoli “L’Abati Meli”)

Lu neu (inserita nel trattato di Natoli “Musa siciliana”)

La simpatia  (inserita nel romanzo di Natoli “L’Abati Meli”)

Dell’amore per la terra – La Bucolica

Introduzione, primo sonetto (inserita nel trattato di Natoli “Musa siciliana”)

Primavera  - Piscatoria (inserita nel trattato di Natoli “Musa siciliana”)

Estate – Il canto di Tirsi (inserita nel trattato di Natoli “Musa siciliana”)

Autunno – L’arrivo del temporale (inserita nel trattato di Natoli “Musa siciliana”)

Autunno – Il canto di Ergasto (inserita nel trattato di Natoli “Musa siciliana”)

Autunno – il canto di Polemuni (inserita nel trattato di Natoli “Musa siciliana”)

Inverno -  L’uccisione del maiale (inserita nel trattato di Natoli “Musa siciliana”)

Dal Don Chisciotte

Il lamento di Sancio per la morte dell’asino (inserita nel trattato di Natoli “Musa siciliana”)

Dalle satire

Lu tempio di la Fortuna

Ode al vino – dal Ditirammu (inserita nel trattato di Natoli “Musa siciliana”)

Dagli Epigrammi

Ricetta pri la vigilia (inserita nel trattato di Natoli “Musa siciliana”)

Ricetta pri lu sistema di Miceli (inserita nel trattato di Natoli “Musa siciliana”)

Dai sonetti con dedica

Sonetto per il pretore Regalmici che abbellì Palermo (inserita nel trattato di Natoli “Musa siciliana”)

Luigi Natoli presenta l'Abate Meli.


Io non ho inteso né di scrivere una vita, né di illustrare i tempi del poeta; ma semplicemente e puramente di esaminare nel modo più completo donde e come proceda l’arte sua, perché egli indipendentemente dal suo genio poetico sia sempre una grande figura de la nostra istoria letteraria, perché egli sia grande non solo come poeta ma come scienziato. Vi ha in questo poeta tutta la spontaneità graziosa de la poesia popolare, che ei studiava attentamente, tutta quella felicità di linguaggio evidente, contemperata da la matura riflessione de l’artista; da un gusto finissimo e veramente greco e da una mollezza voluttuosa che sa de l’oriente. E tal poesia che schiude i profumi de la zagara e dei gelsomini fra i severi e maestosi intercolonni dei templi greco-siculi; armonica fusione di una forma popolare e di una successione di imagini scelte con discernimento fine, amalgamate in seno a la ebbrezza del sentimento eccitato.  Così egli vela modestamente il desiderio intenso dei sensi, senza strozzarlo ipocritamente con quei lagni evirati degli accademici onde era infestata l’arte italiana. 
 
Luigi Natoli. 

 

Luigi Natoli: L'Abate Meli. Romanzo storico siciliano.

Per la prima volta in un solo volume abbiamo riunito il romanzo di Luigi Natoli L’abate Meli, il suo Studio critico sulla poesia del Meli, e tutte le poesie che il grande scrittore palermitano scelse e inserì nel trattato Musa siciliana, a dimostrazione della grandezza umana e culturale di questi due grandi letterati di Sicilia.

 
Luigi Natoli amò fortemente la poesia e la stessa personalità di Giovanni Meli.
Sul poeta Siciliano scrisse molto e si adoperò al massimo affinché la città di Palermo rendesse onore ad uno dei suoi figli più illustri. Di Natoli si ricordano le violente critiche dalle pagine del Giornale di Sicilia, contro il comune che non dava la giusta attenzione al poeta (le cronache del tempo testimoniano la polemica per la statua di Meli che doveva essere bella e in bronzo e soprattutto la sua collocazione pretesa in un punto rappresentativo di Palermo – nella specie Piazza Lolli).
Altrettanto feroce fu verso i critici e letterati, che non capirono o relegarono il Meli a semplice poeta popolare rappresentante dell’Arcadia. Luigi Natoli per sostenere la grandezza poetica e la filosofia del Meli davanti l’ottusa classe letteraria dell’epoca, scrisse nel 1883 l’eccellente studio critico che ancor oggi rende la dovuta giustizia al poeta siciliano.
Scrisse anche il romanzo “L’abate Meli” pubblicato a puntate dal Giornale di Sicilia a partire dal 16 settembre 1929 che non è un romanzo biografico, ma un particolare intreccio narrativo per evidenziare quanto il Meli fosse maestro di vita e impareggiabile poeta.
I Buoni Cugini Editori.
 
"La cultura distratta e modaiola del secondo Novecento non ha saputo riconoscere il patrimonio letterario lasciato da Natoli ed ha dimenticato uno dei più grandi poeti della letteratura italiana, relegandolo al semplice ruolo di poeta dialettale; questa poderosa pubblicazione che contiene in un solo volume, il grande connubio letterario fra Luigi Natoli e Giovanni Meli, può contribuire alla riscoperta di un narratore e di un poeta che dovrebbero essere meglio conosciuti in tutta l'Italia e anche nella loro Sicilia".
Francesco Zaffuto

 
Il volume è impreziosito da tante poesie siciliane di Giovanni Meli con testo italiano a fronte.
 

domenica 6 settembre 2015

Luigi Natoli nel romanzo "Il Capitan Terrore": le carte da giuoco italiane.

Le carte da giuoco italiane hanno una storia; e dico italiane, perché altri ci contendono l’invenzione: i Francesi. Le carte nostre furono inventate nel secolo XV. Esse sono quaranta, e si dividono in quattro semi, che prendono, come si sa, il nome di spade, oro, coppe e bastoni, ma non tutti sanno che essi rappresentano i quattro ordini della società: le spade rappresentano la nobiltà, l’oro la borghesia composta allor da mercanti, le coppe la chiesa e i bastoni il popolo. I primi giuochi furono le lotte che s’impegnavano o si fingeva che si sarebbero impegnate fra i vari ordini. Avevano in fondo un significato sociale. Erano divertenti e istruttivi, né ancora si erano resi fomiti di speculazioni e strumenti di perversione. Raramente qualche signore le possedeva.
Galvano aveva avuto in regalo un mazzo di carte dal capitano di una nave veneziana, che aveva salvato dal pericolo di annegare; ne aveva imparato il giuoco, e l’aveva portato in Palermo.