lunedì 27 aprile 2015

Luigi Natoli in Braccio di ferro avventure di un carbonaro: Salvatore Meccio

 
Il Meccio, anima della cospirazione e ordinatore del piano, appariva ai due giovani come uno di quei personaggi maravigliosi dell’antica storia, condottiero e legislatore, dall’occhio acuto, dallo spirito pronto, dalla mente vasta e capace. Come dubitare del trionfo?
Ah il bel sogno! Cacciar gli Austriaci da Palermo, proclamare l’indipendenza e la costituzione, chiamar tutta l’Isola al riscatto: Messina, Messina stessa fatta più accorta della esperienza, deposte le antiche sciocche gelosie, avrebbe seguito e appoggiato il moto di Palermo. E allora Napoli, ancor fremente e mal tollerante l’occupazione austriaca e il tradimento del re borbonico, si sarebbe sollevata; e da Napoli il movimento rivoluzionario si sarebbe propagato nello stato della Chiesa; e poi Milano e Torino, tutta la penisola insomma, scossa da quell’impeto di tempesta rivoluzionaria, tutta in arme per la libertà!
Nella foto: quarta di copertina del volume: Braccio di Ferro avventure di un carbonaro, I morti tornano..., Chi l'uccise? Tre romanzi del risorgimento italiano. Disegno di Niccolò Pizzorno.  

Luigi Natoli in Braccio di ferro avventure di un carbonaro: La rivolta dei "berretti rossi"

Università di Torino, teatro della strage capitanata dal generale Thaon de Revel dei "berretti rossi" - così erano chiamati gli studenti - insorti contro il governo straniero nel 1821.

Braccio di Ferro avventure di un carbonaro - I morti tornano... - Chi l'...


Luigi Natoli in Braccio di ferro avventure di un carbonaro: i simboli della Carboneria


Buon Cugino Spada, è necessario che voi conosciate il significato simbolico di ognuno dei nostri emblemi. Il tronco dell’albero che voi vedete, indica la superficie della terra, sulla quale sono sparsi i Buoni Cugini; simboleggia anche il firmamento che si stende ugualmente sopra di noi; le radici indicano la sua stabilità e il verde fogliame la sua perenne giovinezza. Come Adamo ed Eva dovettero celare il loro peccato nella foresta, così i Buoni cugini debbono celare i falli dei loro compagni.

“Il pannolino bianco, sul quale vi siete inginocchiato per pronunciare il giuramento, è il prodotto di una pianta. Con la macerazione e col lavoro la pianta è divenuta pannolino; così noi con sforzi continui dobbiamo purificarci e migliorarci.

“Un pannolino ci avvolge quando veniamo alla vita, e ci riceve di nuovo quando nasciamo alla vera luce. L’acqua che ci lava quando veniamo al mondo, ci insegna a purificarci dalle macchie del vizio, per godere i piaceri della virtù. Il sole, che impedisce la corruzione delle cose, ci esorta a salvare il nostro cuore dalla corruzione del mondo; la corona di spine bianche posta sul nostro capo, ci ammonisce a essere prudenti e fermi nei nostri propositi e nelle nostre azioni; la croce ci esorta a seguire l’esempio di Gesù Cristo, nostro Gran Maestro, che patì là in croce per la salvezza dell’umano genere; la terra, dove il nostro corpo sarà sepolto nell’eterno oblìo, è simbolo del segreto che deve essere sepolto in fondo ai nostri cuori.

“Essa è il simbolo più importante: i pagani cercano dividerci, calunniando la nostra istituzione, che è strumento di redenzione e di felicità: se penetrassero i nostri segreti ci obbligherebbero a sostenere una lotta ineguale. La scala insegna al Buon Cugino Carbonaro che la virtù si raggiunge grado a grado; il fascio di legna simboleggia i Buoni Cugini stretti in un patto, concordi e in pace: i nostri tricolori indicano le virtù cardinali; il nero o carbone, è il simbolo della fede; il turchino, o fumo, è il simbolo della speranza; il rosso, o fuoco, è simbolo della carità.

“Questo pezzo di legno, pendente da un nastro tricolore, di cui siamo ornati, si chiama Echantillon; è il nostro segno. La matassa di filo, simboleggia la mistica catena che ci lega; la scure, la zappa e la pala sono gli strumenti dei nostri sacri travagli.
 
nella foto: Coccarda carbonara esposta al Museo di Storia patria di Palermo.

Luigi Natoli in Braccio di ferro avventure di un carbonaro: l'adesione di Tullio Spada alla Carboneria


- Credo dunque, Tullio Spada, sia stata la Provvidenza che vi ha guidato qui; perché voi sarete un Carbonaro o, come diciamo fra noi, e come avete udito, un “Buon Cugino” dei più validi. La nostra società ha bisogno d’uomini forti e coraggiosi, e soprattutto onesti pel raggiungimento del nostro fine.
-  Qual è questo fine?
- La liberazione degli uomini dalla schiavitù… Che cosa siamo noi? Degli schiavi. Che cosa vogliamo essere? Uomini liberi. Questo è il fine comune di tutti i Buoni Cugini sparsi nel mondo. Per noi Siciliani vi è ancora un altro fine da raggiungere; l’indipendenza dell’isola, la restaurazione della sua autonomia violata, calpestata dal vecchio Borbone traditore. Noi vogliamo la indipendenza e la libertà; indipendenza da Napoli con governo nostro, e costituzione come quella spagnuola. Questo programma, compie l’altro, comune a tutti i Carbonari, che è quello del perfezionamento umano… Andiamo incontro a grandi pericoli, a persecuzioni, a supplizi: la morte sta quasi perennemente sospesa sopra il nostro capo, ma che importa? Essa non può nè deve arrestarci. Siate dei nostri, Tullio Spada: non negate il vostro braccio alla santa causa…
 
- Noi – continuò il Buon Cugino, – siamo alla vigilia di un grande avvenimento. Palermo è piena di “Vendite”; abbiamo “Vendite” a Messina, a Catania, a Siracusa, perfino in piccoli paesi. La verità si fa strada. Su tutto il regno di Napoli le “Vendite” hanno distesa una rete di cospirazioni, se così vi piace chiamare i nostri lavori; l’esercito è con noi. Vi sono “Vendite” a Roma e in tutto lo Stato Pontificio; nel Piemonte, in Lombardia, in Francia… Dappertutto si lavora, contro la tirannia e l’oscurantismo.
Disegno di Niccolò Pizzorno.
 

Luigi Natoli in Braccio di ferro avventure di un carbonaro: giuramento di Tullio Spada alla Carboneria

Dal romanzo "Braccio di Ferro avventure di un carbonaro" di Luigi Natoli il giuramento di Tullio Spada alla Carboneria:
“Io Tullio Spada, giuro e prometto sotto gli stabilimenti dell’ordine in generale e su questo ferro punitore degli spergiuri, di custodire scrupolosamente il segreto della rispettabile Carboneria; di non scrivere, incidere o dipingere cosa alcuna appartenente alla Carboneria, senza averne ottenuto il permesso in iscritto. Giuro di soccorrere i Buoni Cugini Carbonari in caso di bisogno, e di non tentare l’onore delle loro famiglie. E se divento spergiuro, consento che il mio corpo sia fatto a pezzi, bruciato, e le mie ceneri sparse al vento, affinchè il mio nome serva di esempio a tutti i Buoni Cugini sparsi sulla terra. Così Dio mi aiuti”.
www.ibuonicuginieditori.it
Disegno di Niccolò Pizzorno

Luigi Natoli in Braccio di Ferro avventure di un carbonaro: indipendenza o morte!

Dal romanzo "Braccio di Ferro avventure di un carbonaro" di Luigi Natoli:
"Giuriamo di essere costanti e forti! Indipendenza o morte!
Questo giuramento, in quell'ora, fra le lampade che splendevano nei balconi, sulle piramidi, sugli archi, aveva qualcosa di grande e di suggestivo; si ripercosse, volò, si diffuse; agitò gli animi, sollevò entusiasmi e ardori guerreschi..."
www.ibuonicuginieditori.it
Nella foto: coccarda carbonara presso Museo di Storia Patria - Palermo

giovedì 2 aprile 2015

Luigi Natoli: Ferrazzano. Prefazione di Rosario Palazzolo.



Nel senso che prima o poi, io, me l’aspettavo, una cosa del genere, così odiosa, che qualcuno bussasse e mi dicesse, un giorno, Senti, siccome ti stimo eccetera eccetera e allora volevo chiederti una prefazione eccetera eccetera. Ché mai io avrei scritto prefazioni, pensavo – e probabilmente mai più ne scriverò, beninteso –, neanche sotto tortura ne avrei scritte, ché non mi figuravo proprio, io, nell’atto di scrivere prefazioni, ecco, e non perché io abbia mai avuto una particolare idiosincrasia nei confronti delle prefazioni, magari solo un pochino, e pure la parola “prefazione”, ora che ci penso, non l’ho mai sentita particolarmente minacciosa, magari solo un pochino, è che sicuramente avrei dovuto scrivere bene, di quel libro lì, nella prefazione, ché mica avrei potuto scrivere ciò che pareva a me, e insomma avrei dovuto fare buon viso a cattivo gioco, come si dice, per favorire colui che mi aveva proposto una cosa del genere, ossia la prefazione, e così non avrei potuto scrivere Che schifezza di libro, signori lettori, per esempio, e Proprio non lo comprate, compratene uno di Palazzolo, mettiamo, se tenete ai vostri soldi, e perciò, nell’ipotetica prefazione, qualora il libro m’avesse dato il voltastomaco, avrei dovuto giocare di fino, inserire sotterfugi semiologici affinché i più avveduti comprendessero che Va bene il libro fa schifo ma tu certo non potevi mica dirlo, che fa schifo, d’accordo, intesi, non lo compreremo, ma poveraccio che non sei altro, dovevi non scriverla, questa prefazione, rifiutarti, visto e considerato. E insomma era un problema di libertà, il mio, il solito problema della libertà, che viene omessa, il più delle volte, per cortesia, specie quando si parla di opere letterarie, di roba fatta di parole, di arte. E perciò, io, nell’attesa che ciò capitasse, che qualcuno mi proponesse di scrivere una prefazione, pregustavo il momento in cui avrei rifiutato, il momento in cui avrei detto Mi spiace, ma io non scrivo prefazioni, è risaputo, ne scrivessi direi certamente sì. Ma poi è arrivato Ferrazzano. Ed è arrivato nel momento meno opportuno, quello in cui oramai avevo abbassato la guardia poiché Si sarà sparsa la voce che non amo scrivere prefazioni, pensavo, fra me e me, con un ottimismo che non sapevo di possedere. E in un istante – vi giuro in un istante – io ho risposto Sì, va bene, la faccio, la prefazione. Ciò è accaduto perché doveva accadere, ché maledizione le cose accadono a prescindere dalla tua volontà, certe volte, e spesso accadono quando hai ormai acquisito la consapevolezza necessaria che ti fa dire Questa cosa sarà così, caschi il mondo, ché poi, puntualmente, quella cosa non è così e il mondo, incredibilmente, non casca. Nel mio caso è successo che l’autore di Ferrazzano, quel Luigi Natoli che leggete in copertina, era l’autore preferito da mio padre, e perciò in un attimo ho pensato a tutte le volte che mio padre, quando ero ragazzo, mi diceva Sei inflessibile e testardo anzi zuccone, e mi diceva Leggi Natoli, è bravo Natoli, è appassionante Natoli, a tutte le volte che avevo rifiutato l’invito preferendogli i classici e i contemporanei e chissà chi, bastava solo che fossero particolarmente eversivi e sgominatori di luoghi comuni e trasfiguratori del buon senso e io li leggevo, e Figuriamoci se ora perdo il mio tempo con Natoli, mi dicevo, Con uno che parla di Palermo e dintorni e racconta di come la gente viveva a Palermo e dintorni e intesseva trame fittissime piene di dintorni ché poi erano proprio tutti ’sti dintorni che non sopportavo, e difatti mai letto Natoli, in vita mia, nonostante abbia ereditato l’intera opera sua, io, di mio padre, da quasi diciotto anni. E invece ho detto sì, stavolta, perché sebbene io sia dichiaratamente allergico a ogni forma di romanticismo, certo non potevo che dire sì, stavolta, ché è stato come se lui, mio padre, m’avesse dato l’ultima possibilità di dire sì, ché era così, mio padre, ostinato. E dunque Ferrazzano è un romanzo che parla di Palermo, è vero, e che non ci fa mancare la solfa dei dintorni, dei dintorni sviscerati e anatomizzati e poltiglizzati, dei dintorni che dopo un po’ pensi Sì, va bene, l’ho capito, va’ pure avanti, Natoli bello… ma poi capita improvvisamente il contrario, capita che lui, Natoli, dopo un po’, comincia a ignorarli, i dintorni, e tu che leggi è come se li pretendessi, adesso, è come se ti mancassero quelle descrizioni di facce e stati d’animo e palazzi e strade, ché ti paiono delle dilatazioni temporali appropriate, adesso, Ché doveva essere proprio così il tempo di allora, se paragonato al nostro, pensi, Un tempo vuoto di necessità, esoterico e lattiginoso, come se la gente avesse troppa poca vita a disposizione, e che fosse pertanto necessario dilatarla, quella vita, particolareggiarla. E Natoli fa questo, ci porta nel ’700, ci dice le strade e i palazzi, ci racconta di duchi e principi, di duchesse e di marchesi, ci parla di cavalier serventi, criticando un’etica che non c’era e un’estetica che pretendeva di essere in ogni luogo, proprio come oggi, più o meno, e lo fa con Ferrazzano, un uomo che è forse esistito o forse no, che forse è colui che è esistito o forse no, un comico esilarante e picaresco, comunque, che la gente ama, ma che di esilarante e picaresco ha ben poco, stando alla narrazione di Natoli, un uomo ordinario, furbo quanto basta, che vorrebbe solo una quotidianità serena, in compagnia della figlia acquisita Floristella, un uomo che è invece invischiato in una trama arditissima, piena di colpi di scena, con un finale degno di un noirista contemporaneo, e dunque, giunti qui, alla fine, sono sempre del parere che scrivere prefazioni sia una vera afflizione, tutto sommato, e che se fossi in voi non leggerei mai le prefazioni, come del resto faccio io ché per me non sono mai esistite, le prefazioni, e che tutto sommato si può dire quello che si vuole, nelle prefazioni, e nella maniera in cui si vuole, solo se si finge che non siano delle prefazioni, ecco tutto, solo se le si legge a prescindere dalla parola “prefazione”, e così si può provare persino piacere dalle prefazioni, secondo me, e che mio padre aveva ragione, infine, concludo, tutto sommato, sul signor Natoli scrittore, e che avrei dovuto ascoltarlo di più, ma una prefazione del genere, tutto sommato, credo basti a pagare lo scotto, a pareggiare, nonostante non sia proprio una prefazione, pur essendo una prefazione, quasi come una prefazione, insomma, ma non proprio una prefazione, e così via. 
Rosario Palazzolo

Luigi Natoli: Ferrazzano.



….E Natoli fa questo, ci porta nel ’700, ci dice le strade e i palazzi, ci racconta di duchi e principi, di duchesse e di marchesi, ci parla di cavalier serventi, criticando un’etica che non c’era e un’estetica che pretendeva di essere in ogni luogo, proprio come oggi, più o meno, e lo fa con Ferrazzano, un uomo che è forse esistito o forse no, che forse è colui che è esistito o forse no, un comico esilarante e picaresco, comunque, che la gente ama, ma che di esilarante e picaresco ha ben poco, stando alla narrazione di Natoli, un uomo ordinario, furbo quanto basta, che vorrebbe solo una quotidianità serena, in compagnia della figlia acquisita Floristella, un uomo che è invece invischiato in una trama arditissima, piena di colpi di scena, con un finale degno di un noirista contemporaneo.
Rosario Palazzolo
Copertina di Niccolò Pizzorno.